La situazione sanitaria e sociale calabrese oscilla tra false soluzioni, come i cento posti letto Covid “creati” nella provincia di Cosenza (trasformando sulla carta posti ordinari) ma impossibilitati ad attivarsi realmente vista la strutturale mancanza di personale, e tragedia vera e propria con le morti dei pazienti nelle ambulanze in fila al pronto soccorso. Il commissario ad acta ed il presidente facente funzioni paiono, in questo contesto, delle figure utili solamente a giustificare lo status quo e deviare l’attenzione dalla radice delle problematiche.
Il nostro percorso di confronto, che abbiamo chiamato “Assemblea dei Lavoratori Calabresi”, nasce dalla convinzione che la gestione sanitaria regionale e nazionale abbia raggiunto, con la crisi COVID, il grado di dissoluzione che tutti conosciamo perché le classi popolari e lavoratrici calabresi (e italiane) non hanno avuto alcun potere decisionale nella gestione di un settore come la sanità pubblica.
In altre parole: la gestione aziendalistica della sanità pubblica,la collusione con le cliniche private e le loro truffe è legata a doppio filo alla mancanza di una gestione realmente democratica e popolare del servizio sanitario. Ricordiamo che proprio due giorni fa è arrivata la notizia del rinvio al giudizio dei vertici del Sant’Anna Hospital di Catanzaro, la cui inchiesta ha svelato una serie di falsi ricoveri nella clinica privata Sant’Anna Hospital tra il 2013 e il 2019 per percepire rimborsi dal servizio sanitario regionale per una somma pari a 10,5 milioni di euro, possibile proprio grazie anche a oltre mille falsi ricoveri in terapia intensiva coronarica; a questo si aggiunge poi la vicenda delle fatture doppie pagate alla clinica, che dimostrerebbero una collusione senza precedenti da parte del personale dell’Asp. Allo stesso modo, la diffusione della pandemia – che è stata favorita a sua volta dallo sfacelo della sanità pubblica – è stata determinata, nella sua prima ondata, dal ritardo nelle chiusure dei grandi distretti industriali per il quale Confindustria ha fatto pressione e, nella sua seconda ondata, dall’anarchia circa il rispetto delle disposizioni anti-Covid nei luoghi di lavoro, anche nelle zone turistiche.
Il legame che esiste fra le cause e le conseguenze della crisi COVID e il precariato si manifesta in pieno con il bacino di professionisti con contratti a tempo determinato che per anni sono stati spolpati dalle Asp regionali (facendo diminuire la qualità del lavoro e dei servizi) e con l’utilizzo fraudolento di cassa integrazione COVID e fondi di integrazione salariali da parte di imprese che non ne avevano reale necessità e che hanno utilizzato questi strumenti soltanto per scaricare il rischio d’impresa sui dipendenti. Caso emblematico quello del call center di Abramo, che macina commesse e utili come non mai ed è riuscito ad “apparire” come un’impresa bisognosa del Fis per sfruttare i sussidi statali per malcelati scopi di ristrutturazione interna della proprietà, vicenda che oggi sembra giungere ad un epilogo triste per le migliaia di lavoratori precari che ci lavorano da anni. Non dimentichiamo, inoltre, gli oltre sessanta contagiati di inizio marzo nella sede di Rende del call center Comdata.
Per rispondere alla crisi Covid, la Regione Calabria – come il governo nazionale – ha offerto alle imprese diversi sostegni economici (la tranche primaverile dello scorso anno ammontava a circa 400 milioni di euro in aggregato). Questo senza, però, porre alcuna condizione sul rispetto delle normative Covid (soprattutto nel periodo estivo) e sulla stabilizzazione dei lavoratori. Il blocco dei licenziamenti ha avuto poco senso in una terra dove la maggior parte del lavoro è stagionale, a tempo determinato o addirittura in nero.
A livello puramente economico, la crisi COVID ha avuto il maggiore impatto nel caporalato legalizzato dei tirocinanti della Pubblica Amministrazione, nelle mancate indennità pagate aiprofessionisti del 118, nei fondi che spariscono invece di andare agli operai dei consorzi di bonifica e nei ciclici ritardi a catena nei pagamenti dai comuni alle ditte in appalto e dalle ditte aglioperatori ecologici, con questi sempre ultima ruota del carro nei momenti di crisi. Grottesco, anche, il caso degli assistenti socialiinquadrati come professionisti con partita Iva in ambiti come, ad esempio, il Comune di Cosenza.
Come si riflette, infine, questa tendenza alla gestione aziendalistica, egoistica e privatistica del sistema economico nell’ambito sanitario?
In sanità la Calabria spende da anni, pro-capite, fino a duecento milioni all’anno in meno della media nazionale, perché non riceve fondi commisurati alle sue esigenze epidemiologiche. Questo rende il piano di rientro moralmente illegittimo. Da qui la diminuzione da 4,47 a 2,98 posti letto ogni mille abitanti negli ultimi dieci anni. La “sperequazione territoriale” di cui è vittima la regione non è, però, un banale effetto di una “discriminazione verso il Sud”. Essa è proprio uno dei tanti effetti dell’aziendalizzazione del SSN: i rami del sistema con meno entrate devono chiudere e/o delegare il servizio al privato, specialista nel puntare ai soli ambiti lucrosi.
Ecco così che regione spende cifre abnormi ogni anno per la sanità privata convenzionata. Parliamo di strutture che si occupano degli interventi più profittevoli mentre lasciano al pubblico le pratiche “svantaggiose” come il pronto soccorso e la terapia intensiva. Esse ottengono spesso rimborsi maggiorati attraverso falsificazioni dei DRG e doppie fatture pagate, oltre a fare pressioni politiche per spese inefficienti e per non far funzionare le cose nel pubblico.
Ricordiamo, infine, che la regione Calabria sborsa una rata annuale da 30,7 milioni a un tasso usuraio annuo del 5,89% per ripagare i debiti sanitari contratti con il Governo – il quale a sua volta spende ancora, in interessi passivi, circa 60 miliardi di euro all’anno.
Alla luce di queste considerazioni, è chiaro che esista una fascia sociale che trae profitto o che, comunque, non è danneggiata dalla crisi COVID a tal punto da ritenere conveniente dare battaglia per rovesciare questo paradigma. Parliamo di tutti i soggetti legati all’indotto privato del sistema sanitario e alle grandi aziende, oltre a tutte quelle piccole imprese che preferiscono la “pace sociale” al fine di scaricare sul proprio sottoposto il costo della crisi stessa.
Dall’altra, esiste una fascia sociale che avrebbe tutto l’interesse che il sistema sanitario (oltre quello delle tutele sul lavoro) funzioni e che, se unita e coordinata, avrebbe il potere di creare la pressione sociale per ottenere miglioramenti.
Anche per questo il nostro percorso di confronto e coordinamento è iniziato con il coinvolgimento di comitati locali per la sanità pubblica e dei lavoratori precari della sanità mobilitati da Usb ed è proseguito con il dialogo con realtà sociali come, ad esempio, ilComitato Pro Ospedale del Reventino, il Collettivo MalaErba – Reggio Calabria, il Fronte Comunista – Calabria, Calabria Sociale – contro il regionalismo, Usb Calabria – pubblico impiego, Rifondazione Comunista – Calabria, il Comitato in difesa della salute – Acri, la Confederazione Unitaria di Base – Crotone, i lavoratori dello spettacolo, i lavoratori di Abramo, l’Aned, il collettivo femminista Ci siamo rotte i tabù, Fials sanità VV, lavoratori stagionali, Orsa (sindacato al porto di Gioia Tauro), molte di esse realtà conflittuali.
Molte di esse parteciperanno attivamente alla mobilitazione e molte altre adesioni sono previste nei prossimi giorni e la manifestazione dell’8 Maggio alla Cittadella Regionale servirà come prima dimostrazione di una capacità di coesione, sotto le stesse rivendicazioni, di realtà territoriali e sociali diversissime per radicamento sul territorio e storia. Di seguito le locandine dell’evento e le rivendicazioni unitarie, decise nel corso di diverse assemblee:
1. Reddito garantito per chi ha perso il lavoro e per gli autonomi costretti a chiudere
2. Risorse per un vero piano vaccinale e per la medicina territoriale
3. Revoca del piano di rientro sanitario, ripristino posti letto e servizi tagliati, internalizzazione delle cliniche private con i loro lavoratori
4. Stabilizzazione dei contratti precari nel settore privato, nella PA e nel comparto sanitario con aumenti salariali
5. Grande piano di assunzioni stabili nel pubblico, pagato da chi si è arricchito sfruttando i lavoratori
6. Ripubblicizzazione della raccolta rifiuti, del servizio idrico e dei trasporti. Piano di investimenti nell’economia circolare e nei trasporti locali
7. Piano di investimenti nell’istruzione pubblica, nell’edilizia scolastica e nella sicurezza degli studenti
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