Il porto di Gioia Tauro è una realtà inespressa. A metà degli anni novanta, un imprenditore genovese ebbe l’intuizione di investire sul “porto canale” gioiese, inizialmente progettato per il traporto di major dry bulk-carbone, a servizio di un centro siderurgico, acclarato fallimento italiano. Tra gli anni ’90 ed il 2000, la navigazione tipo deep sea shipping (navigazione a lunghe rotte) lasciava il passo alle navigazione short sea shipping (navigazione a corte rotte) servendosi ugualmente di mother vessel – navi madre (ad esempio vasceli suezmax) per movimentare in transhipment grandi quantità di merce anche su rotte round the word, transitabili solo in porti con alti fondali. Da allora Gioia Tauro è diventato un porto intermodale? No!
Prima della crisi mondiale, nello scalo gioiese venivano movimentati mediamente 3.000.000 Teus e quest’anno il trend scenderà ancor di più. Della totalità dei container movimentati, pochi sono stati e saranno gli scambi intermodali. Se pur il porto di Gioia Tauro ha una banchina di 5000 metri ed una area Cfs con una linea ferrata interna di 2000 metri il trasporto ferroviario non decolla a causa di “armamenti” interregionali inadeguati, con binari a scartamenti ridotti, caratteristiche di una linea ferroviaria obsoleta di “classe C3”, sprovvista di corsie preferenziale per i trasporti delle merci. Analogamente, le autostrade se pur ammodernate con la legge obbiettivo n. 443/2001, ad oggi sono ancora incomplete. Certamente il trasporto truck and rail non si può permettere “costi temporali elevati”. Per cui, non avendo corsie preferenziali ferroviarie e non avendo strade extraurbane realmente a scorrimento veloce, viene meno il presupposto dello sfruttamento della intermodalità.
Il potenziamento del Terminal Gioiese deve passare obbligatoriamente dalla costruzione del bacino di carenaggio, sfruttando al meglio i punti di forza della portualità e dell’interporto. Come?
Il sistema di trasporti marittimo attuale e la globalizzazione permetterebbero la commercializzazione della merce in arrivo nel nostro territorio, soprattutto esportando nel mondo i prodotti della buona Calabria, servendosi dell’area a tergo del porto e prescindendo dalla Zes. Cosi come, l’area industriale in quota potrebbe essere convertita in un “Hub Inland” per la formazione dei convogli ferroviari e di autotreni, entrambi extra portuali.
Importantissimo, a mio avviso, sarebbe incrementare la commercializzazione dei Dry Bulk e Liquidi Bulk da stoccare in aree dedicate alle merci alla Rinfusa.
Concludendo, affermo con convinzione che la crescita di un “sistema commerciale” si avverte dal numero di infrastrutture realizzate e dalla possibile permeabilità di acquirenti o investitori. Sfortunatamente, dal ’94 ad oggi, il porto non è stato supportato da mirate ed interne implementazioni strutturali e le infrastrutture viarie calabresi sono rimaste immutate ed inadeguate, ma, fortunatamente, qualcosa si sta muovendo. Grazie alla nuova e dinamica amministrazione regionale guidata dal Governatore Mario Oliverio, è stato redatto il Prt – Piano Regionali dei Trasporti, dopo 20 anni di vacanza. Il porto non è solo Unità di trasporto intermodale (container).
Giuseppe Romeo
Ingegnere dei trasporti civili e marittimi