Donato Capece, Segretario Generale del Sappe (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria), è intervenuto ai microfoni di Legge o Giustizia su Radio Cusano Campus per parlare dell’evasione dello spacciatore marocchino dal carcere di Lodi. “La pianta organica a Lodi è scesa da 51 a 45 unità. Se non si ha il controllo visivo del soggetto ristretto nelle carceri questo cerca in tutti i modi di evadere e fregarci – ha affermato Capece – i detenuti stranieri fanno sorgere sempre più problemi. Non hanno nulla da perdere nel tentare un’evasione o colpire od offendere i poliziotti. La legge Madia ha tagliato altre 5000 unità, un taglio che ci ha messo in difficoltà. C’è stato il blocco del turn over. La polizia penitenziaria fa grosse sacrifici ma ci cadono le braccia. Il sistema si sta sgretolando”. Un problema riguarda la lingua araba: “I nostri agenti non conoscono questa lingua. Capire cosa si dicono tra loro determinati soggetti potrebbe risolvere molte cose. Oggi c’è anche il problema del radicalismo in carcere. Ci sono circa 120 detenuti di primo livello, ovvero quelli maggiormente attenzionati. Ci sono anche tanti altri che tendono alla radicalizzazione. C’è dietro un lavoro di intelligence che porta avanti la polizia penitenziaria senza avere preparazione: siamo degli autodidatti. Hanno proposto dei corsi per imparare qualche frase in arabo ma per imparare una lingua del genere ci vogliono anni. Ho proposto al Ministro di riservare un’aliquota dei posti per la polizia penitenziaria per immigrati di terza generazione. Italiani di fatto che potrebbero essere assunti proprio per aiutare a gestire meglio certi soggetti che seguono una religione che tende al terrorismo”. In carcere ci sono circa 8000 detenuti con pene definitive da scontare inferiori ai nove mesi. “La politica tempo fa sostenne che per evitare un’amnistia bisognava pensare, per queste persone, misure alternative al carcere. Per rimetterli sul territorio devono però avere un domicilio fisso. La stragrande maggioranza però sono extracomunitari senza fissa dimora e quindi rimangono in carcere al costo di circa 160 euro al giorno. Inoltre, hanno aumentato la paga del detenuto che lavora in carcere dell’83%. Un detenuto che lavora come cuoco, per sei ore di lavoro al giorno, guadagna 1500 euro al mese oltre gli assegni: guadagna più di un poliziotto”.
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