Il Porto di Gioia Tauro e lo sviluppo ostacolato nelle dichiarazioni di un imprenditore del retroporto

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 Cosa si cela dietro la crisi del porto di Gioia Tauro oltre la guerra fra società di terminalisti per il controllo dello scalo marittimo? A dirlo è Bruno Morgante, noto imprenditore nell’area industriale del retroporto, che bene conosce la storia politica dell’infrastruttura gioiese. E lo fa via Facebook rispondendo a un post del commentatore politico Armando Foci il quale, dopo aver riportato la notizia di alcune dichiarazioni del ministro Tria circa l’apertura di una “Via della Seta” funzionale per far giungere le merci provenienti dalla Cina, e in transito per tutta Europa, in Italia via mare con approdo nei porti del Nord Adriatico e dell’Alto Tirreno (Trieste e Genova ndr), si chiedeva a cosa servisse, per il titolare del Dicastero dell’Economia, il porto di Gioia Tauro, e a cosa servisse questo per il M5S che in Calabria ha fatto il pieno di voti.

  La risposta di Morgante è abbastanza cruda: <<Armando, il porto di Gioia Tauro è servito per superare la crisi della portualità italiana, allora quasi tutta al Nord, se si esclude Napoli, dovuta a bacini non adeguati alla rivoluzione per il trasporto delle merci con grandi navi portacontainers. L’intuizione di Ravano (nel 1993, anno di inaugurazione dello scalo gioiese,presidente del gruppo Contship, ndr) di fare di Gioia Tauro, che invece aveva bacini adeguati, un hub per i containers, permise ai grandi porti italiani di superare la crisi, perché da Gioia Tauro, con le navi feeder, le merci affluivano nei loro magazzini per essere lavorate ed inviate sui mercati. Divenne immediatamente il porto del Mediterraneo con maggiore movimentazione di containers, ma non con i maggiori addetti. Si sbarcavano dalle grandi navi i containers, come scatoloni, e si imbarcavano su navi più piccole per essere portate negli altri porti dove si manipolava la merce. Venne impedita qualsiasi evoluzione che portasse a un porto collegato con l’Europa e i grandi interporti italiani ed europei, via ferro e via gomma (in quel periodo l’autostrada era tutta un cantiere e funzionava ad una sola corsia) o qualsiasi iniziativa imprenditoriale che allargasse le attività del porto e potesse dialogare con i mercati, al di là del transhipment. Il Comitato Portuale era una farsa, in quanto al servizio della MCT, che di fatto aveva appaltato il porto. L’unico che aveva aperto strade era stato l’ultimo Ministro dei Trasporti, che aveva stabilito che l’alta velocità doveva arrivare a Gioia Tauro e permettere che in meno di 24 ore i containers potessero arrivare al grande interporto di Manheimar in Germania, senza bisogno di trasbordi su altre navi. Oggi si vogliono annullare questi finanziamenti perché opere inutili. Genova ha adeguato i bacini, lo stesso Livorno e Trieste. Tra poco il porto di Gioia Tauro non servirà a nessuno. Avrà svolto il suo compito di salvare la portualità italiana. La propaganda dirà che la Calabria ha perso un’occasione e che bisognerà interrarlo perché costerà molto alle casse dello Stato e ai cittadini del Nord, che pagano le tasse>>.

  La dichiarazione dell’imprenditore spiega molte cose, specie se si tiene conto che nei documenti relativi alle concessioni ai terminalisti si parla di destinazione d’uso, per Gioia Tauro, esclusiva ad attività di transhipment, e un cambio di tale destinazione finirebbe, per una serie di cose legale, con la perdita delle concessioni.

  Intanto il pentastellato Toninelli è già sceso a Gioia Tauro e, da poco, si è tenuto a Roma un vertice con i sindacati che si è concluso con un nulla di fatto. L’Autorità Portuale gioiese rimane commissariata e, quindi, questa può agire solo per ordinaria amministrazione senza poter fare programmazione a lungo termine per un rilancio dello scalo, a meno che il Ministero dei Trasporti non si muova per porre fine al commissariamento e far insediare un presidente.

  In ambito portuale in genere, invece, si assiste ad un altro schiaffo per la Calabria. Ovvero all’inclusione dei due unici porti passeggeri, Reggio Calabria e Villa San Giovanni, nell’Autorità di Sistema di Messina. Ciò significa che la Calabria potrà avere solo un’Autorità di Sistema incompleta, per la mancanza di porti passeggeri passati sotto le competenze siciliane, che vi sono rischi nella realizzazione della Zes e delle opere finanziate dai Pon (forse il presidente della Regione Calabria, Mario Oliverio, ora capisce perché al porto si scioperava contro i licenziamenti) e che il governo del M5S (che ha fatto in Calabria il pieno di voti) e della Lega (che ha eletto in Calabria il suo leader Matteo Salvini) ha preferito trascurare un territorio in crisi per agevolarne un altro dove, probabilmente, ha referenti politici di maggior peso rispetto a quelli che possiede in Calabria (compresi deputati, senatori e dirigenti di partito o movimento).                                     

Gaetano Errigo

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