‘Ndrangheta, parla un imprenditore che ha denunciato il pizzo: “Da quando ho denunciato la vita è cambiata parecchio, siamo stati isolati da tutti, c’è stata una selezione naturale dei veri amici che si sono ridotti a pochissimi. Per fare i lavori non ci chiama più nessuno. Quando mia moglie va al supermercato i paesani le voltano le spalle. Non c’è stato supporto neanche da parte delle istituzioni, nessuno si è costituito parte civile nel processo. Una cosa è certa, vedendo come me la passo io, i miei colleghi ci penseranno due volte prima di andare a denunciare. Noi comunque non molliamo. Mi avevano anche chiesto se con la mia famiglia volevamo andare a vivere in incognito fuori dall’Italia, ma io sto qua, non gliela voglio dare vinta ai delinquenti, sono loro che devono andare via. Prima o poi dovrà cambiare qualcosa qua”
L’imprenditore edile Andrea Dominijanni, testimone di giustizia calabrese finito sotto scorta nel 2015 per aver permesso l’arresto di otto capi cosca, è intervenuto ai microfoni della trasmissione “Cosa succede in città” condotta da Emanuela Valente su Radio Cusano Campus, emittente dell’Università Niccolò Cusano.
“Grazie alla mia testimonianza sette esponenti della ‘ndrangheta sono stati condannati in primo e secondo grado dopo vent’anni di vessazioni nei miei confronti –ha affermato Dominijanni-. Io ho sempre denunciato, ma per tanto tempo non è successo niente. Ho cominciato a pagare il pizzo nell’82 quando avevo un’impresa edile. Dall’88 in poi si è aggiunto anche un villaggio turistico. Abbiamo pagato il pizzo sia per l’edilizia che per il villaggio. All’inizio non pagavo perché non sapevo che bisognasse pagare. Io ho studiato fuori, sono rimasto sempre fuori, sono venuto in Calabria dopo il diploma per assumere le redini dell’impresa di mio padre e non conoscevo questa realtà. L’ho scoperto a spese mie che per andare avanti bisognava pagare. Quando non pagavo ricevevo sempre danneggiamenti, dispetti, mi hanno anche rubato le attrezzature. Ho sempre denunciato questi fatti. I carabinieri mi chiedevano se avessi sospetti, ma non è che sapessi i nomi di chi veniva a rubare. Poi ho cominciato a pagare il pizzo e sono stato tranquillo per un po’. Però poi, anche quando pagavo regolarmente, i furti avvenivano lo stesso. Evidentemente non si accontentavano, volevano di più, non me lo so spiegare nemmeno io perché. Ho pagato un sacco di soldi, solo per il villaggio 7.500 euro all’anno oltre al pizzo che si pagava quando facevo lavori di edilizia per i cantieri. Da tempo pensavo di liberarmi di questo fardello, poi è scattata la molla quando hanno portato via 400mila euro di attrezzature nel 2011. Alla camera di commercio c’era uno sportello che assisteva imprenditori contro l’usura, mi ha messo in contatto con l’associazione Libera. Sono stato contattato da un poliziotto che mi ha condotto piano piano a ricordare e a ricostruire tutti i fatti del passato. Certo, saper di dover denunciare questi estorsori è stato un vero e proprio incubo, ho una paura tremenda, per me ma soprattutto per i miei familiari. Io ho lasciato la mia famiglia fuori da queste porcherie, tant’è vero che mia moglie ha saputo di queste cose dai giornali dopo che ho denunciato. Ho voluto lasciarli fuori per farli stare tranquilli. Da quando ho denunciato la vita è cambiata parecchio, a Sant’Andrea (prov. Catanzaro) siamo stati isolati da tutti, c’è stata una selezione naturale dei veri amici che si sono ridotti a pochissimi. Per fare i lavori non ci chiama più nessuno, mentre prima venivano da fuori a darci le commesse, ci affidavano i subappalti. Il fatturato si è ridotto drasticamente. Quando mia moglie andava al supermercato i paesani le voltavano le spalle, tant’è vero che ora va a fare la spesa in un altro paese. Non c’è stato supporto neanche da parte delle istituzioni, del Comune, della Regione, della provincia, nessuno si è costituito parte civile nel processo. Sono rimasto solo. Mi hanno dato una scorta di terzo livello, con la macchina blindata, gli agenti che vengono a prendermi a casa al mattino e mi riportano la sera. Una cosa è certa, vedendo come me la passo io, i miei colleghi ci penseranno due volte prima di andare a denunciare, si chiederanno: chi me lo fa fare? Noi comunque non molliamo. Mi avevano anche chiesto se con la mia famiglia volevamo andare a vivere in incognito fuori dall’Italia, ma io sto qua, non gliela voglio dare vinta ai delinquenti, sono loro che devono andare via. Prima o poi dovrà cambiare qualcosa qua”.