Si è concluso con 19 condanne, a pene comprese tra i tre anni e un mese e i sette anni e mezzo, il processo di appello ‘Albachiara’, sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta nel Basso Piemonte.
In primo grado nell’ottobre 2012 il giudice Massimo Scarabello aveva assolto i 17 imputati, accusati di aver formato una «locale» della ’ndrangheta nel Basso Piemonte con sede e capo a Bosco Marengo.
In particolare secono gli inquirenti “Bruno Francesco Pronestì avrebbe assunto il ruolo di “capo società”, dirigendo e organizzando il sodalizio assumendo le decisioni più rilevanti, comminando sanzioni agli altri associati a lui subordinati, dirimendo i contrasti interni ed esterni al sodalizio e curando i rapporti con le altre articolazioni dell’organizzazione.”
Le indagini, partite da un’annotazione dei Ros , durante “l’operazione “Il Crimine” del luglio 2010 che segnalava come uno degli indagati, si fosse recato in visita da Domenico Oppedisano. Nel corso dell’incontro, avvenuto a Rosarno nell’agosto 2009, sarebbe stato richiesto da Zangrà il permesso di costituire un proprio locale ad Alba. Zangrà, sottoposto di Pronestì, capo del locale del basso Piemonte, scavalcò in quel frangente il suo superiore diretto causandone le ire.
Secondo l’accusa, alla fine Oppedisano acconsentì solo alla creazione di una “società minore” con a capo Zangrà ma formalmente sottoposta al locale del basso Piemonte.”
La tesi della Procura in primo grado non aveva convinto il giudice, in quanto gli imputati erano stati assolti per insufficienze di prove.
La Corte d’Appello di Torino ha invece ribaltato il verdetto in primo grado, riconoscendo l’esistenza nel Basso Piemonte di una ‘locale’ della ‘ndrangheta.
Redazione online