Il Paese che non siamo (e non saremo), Renzi, Andreotti e la logica del volemose bene

12
Foto tratta dal blog di pasquale marinelli

Roma, quartiere Trieste. Al bancone di un bar, tre uomini distinti, capello brizzolato imbrillantinato e pochette nel taschino, fanno colazione come il sottoscritto e si lasciano a qualche commento sul calcio, sulla ragazza avvenente un po’ di tazze più in la e, dulcis in fundo, del Lupi-gate: “Io non capisco perché un Ministro che non è nemmeno ‘ndagato se deve dimette per aver cercato di sistemare il figlio ed aver pijato un Rolex. C’aveva ragione Andreotti: il potere logora chi non ce l’ha”.
Il pensiero dell’ uomo qualunque, impreziosito dal wikiquote andreottiano, viene rinforzato dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi che ci mette il carico da undici e scomoda anche il povero barone Montesquieu: “Quando dico che un sottosegretario indagato non si deve dimettere, sto difendendo il principio di Montesquieu (?). Se consentiamo di stabilire un nesso tra avviso di garanzia e dimissioni, si fa passare il principio per cui qualsiasi giudice può iniziare un’ indagine e decidere sul potere esecutivo.”
Certo, ricalcando il pensiero di un suo predecessore (di cui al momento mi sfugge il nome), i magistrati italiani, grillini e non più comunisti, portano avanti delle indagini con l’intento di destabilizzare e minare il potere esecutivo. Non contento, il nostro rampante Presidente scomoda il principio costituzionale della “presunzione d’innocenza”, dimenticandosi  però che i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, principio costituzionale molto più difficile da afferrare. Lo capisco.
Se io fossi un politico, venissi a scoprire di essere iscritto nel registro degli indagati o più semplicemente venisse toccata la mia moralità, lascerei il mio incarico nel rispetto del principio per il quale chi rappresenta il popolo debba essere al di sopra di ogni sospetto.
Smanettando un po’ su google, ho visto che questo mio pensiero è condiviso nella maggior parte delle democrazie avanzate.
Nel 2010, il ministro della giustizia giapponese Yanagida si dimise per una gaffe con i giornalisti, dichiarando che con il suo comportamento aveva “oltraggiato lo Stato”. Esagerato. Il nostro attuale Ministro dell’Interno ha fatto rimpatriare due rifugiati politici (uno dei quali minorenne) “a sua insaputa”, non è stato all’altezza di gestire quattro ultras teppistelli che hanno devastato un’opera patrimonio dell’Unesco, coordinato operazioni di ordine pubblico con in regalo cariche a lavoratori cassintegrati, ed è ancora incollato alla poltrona.
Nel 2008, il ministro della cultura gallese Thomas rassegnò le dimissioni per aver violato la legge: era entrato in un pub con il sigaro acceso. I soliti anglosassoni bacchettoni.
Oltralpe, anche qui, “galeotto fu quel sigaro” che portò alle dimissioni il sottosegretario Christian Blanc, reo di aver speso dodicimila euro di soldi pubblici in costosi tabacchi.
Per non contare dei ministri “crucchi” Schavan e Guttenberg, macchiatisi di copia incolla di qualche pagina di tesi di dottorato.
Alla luce di ciò, dei quesiti nascono spontanei: abbiamo smarrito il concetto di etica pubblica?
Perché il passo indietro di un Ministro della Repubblica Italiana, per la inopportuna spintarella chiesta all’alto funzionario del suo dicastero, deve essere accolto come  atto coraggioso e non come normale?
Possiamo (senza ombra di dubbio convenire) che il concetto di etica pubblica, in Europa come anche nel resto del mondo, si sia modellato sulla base del fattore religioso.
Non è un caso che lo storico tedesco Max Weber, nel suo bellissimo saggio “Etica protestante e lo spirito del capitalismo”, abbia indicato l’etica protestante come base del successo del capitalismo in Occidente. Per lo storico, il protestantesimo sta all’economie più forti mentre il cattolicesimo all’economie più deboli. Di conseguenza, analizzando i dati dell’agenzia anticorruzione internazionale Transparency International, è sorprendente notare come il livello di corruzione dei Paesi protestanti è nettamente inferiore rispetto ai Paesi cattolici. Non sto certamente dicendo che l’insegnamento cattolico spinge alla corruzione, ma che ci sia un senso comune che nulla sia così grave da causare una crisi di coscienza: tu mi assolvi dai peccati ed io “provo” a non reiterarli.
Per un protestante ,avere il riconoscimento del proprio valore dalla collettività, è segno di orgoglio che lo porta a migliorarsi personalmente, ad essere maggiormente autonomo nel pensiero e nelle azioni. Tradisci anche una sola volta la collettività? Sei out, nessun Padre Nostro o Ave Maria commissionati da un quarto d’ora in confessionale può salvarti, nessuna logica del “volemose bene”.
Fintanto che la politica non riuscirà ad affrontare a viso aperto il tema della legalità, della lotta alle diseguaglianze, dell’etica pubblica, e continuerà a delegare la magistratura ad un controllo di quest’ultima, credo che non saremo mai un Paese giusto. Continueremo a vantarci delle fortune e dei fasti del passato, come i membri di una nobile casata ormai da troppo tempo caduta in rovina.

Francesco De Bartolo
Libera Vox

Articolo precedente Sorpresi ad asportare metalli, in manette Amato Fiorino e Bevilacqua Francesco
Articolo successivoPaura su volo in partenza da Lamezia. Aereo investe stormo di uccelli e danneggia motore, costretto a rientrare