Dieci persone sono finite in carcere e 8 ai domiciliari nell’ambito di una indagine della Dda di Milano per associazione per delinquere di tipo mafioso e associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti, frode fiscale, autoricilaggio, usura ed estorsione.
L’operazione condotta Gico della Gdf, dalla Finanza e dalla Squadra Mobile di Lecco si è svolta in Lombardia, Liguria ed Emilia Romagna e ha portato anche al sequestro di un carico di rifiuti radioattivi.
La Procura ha ricostruito l’attività di un sodalizio mafioso nel lecchese guidato Cosimo Vallelonga, esponente di spicco dell’ndrangheta è già condannato.
“Vi faccio come facciamo in Calabria”. Con queste parole, stando alle intercettazioni, Cosimo Vallelonga, 72 anni, boss della ‘ndrangheta in Lombardia finito di nuovo in carcere oggi nel maxi blitz della Dda milanese su un traffico di rifiuti e altri reati, minacciava nel suo negozio di mobili nel Lecchese due vittime di usura, che dovevano restituire un “prestito”.
Lo si legge nell’ordinanza firmata dal gip Clemente.
Come risulta dagli atti, nell’ottobre 2018 Vallelonga avrebbe intimato ad una delle due vittime “di lasciare fuori dal locale il cellulare”, dopo avergli anche “chiesto se avesse addosso dispositivi di registrazione”.
Un’altra delle vittime del clan, che, come si legge, agiva in vari settori e con i metodi ‘classici’ della mafia calabrese da anni ormai “pervasiva” in Lombardia, ha messo a verbale che nell’estate del 2017 “venne condotto in un capannone da Vallelonga” e da Vincenzo Marchio, altro arrestato e ‘braccio destro’ del boss.
Vallelonga, stando al verbale, prese “una pistola” con silenziatore e gliela puntò “alla testa, all’altezza della bocca, ribadendo di esigere da me la restituzione del denaro”. Lo stesso boss nel dicembre 2017 avrebbe detto anche di “aver pronta la borsa dei ferri e che non aveva problemi a tirarla fuori”.