La benemerita Associazione culturale MedmArte, a conclusione delle sue attività periodiche, ha ospitato il prof. Ugo Verzì Borgese. Il noto studioso rosarnese ha intrattenuto il folto pubblico convenuto per l’occasione, illustrando una sua opera letteraria, che se pur datata, mantiene la sua freschezza linguistica: ‘I Farauli i Fedro” “Le Favole di Fedro”.
Fedro, poeta latino del I sec. d. C., schiavo macedone e poi liberto di Augusto, fu autore di 5 libri di favole i cui argomenti di vita quotidiana campestre, richiamavano gli scritti di Esopo, poeta greco (620 a. C. c.a – 560 a. C. c.a).
Questa precisazione è necessaria per inquadrare bene quegli antichi scrittori che, vissuti nell’area sud del Mediterraneo, quindi nella Magna Grecia, hanno attinto a piene mani nella tradizione popolare del loro tempo. Grazie a loro, le favole sono giunte sino a noi e quindi diffuse in tutto l’occidente.
Ugo Verzì Borgese, traducendo in un dialetto colorito calabrese, ma con accento rosarnese, le favole ampiamente diffuse al tempo dei nostri antenati, ci restituisce con rimpianto, un mondo tramontato ormai da tempo. Egli, tuttavia, precisa che ogni favola contenute nel libro “… servi mu faci arridiri e mu faci japriri locchi ed ‘u ceravedhu a ggenti”.
Oggi come ieri, infatti, sono tanti i truffatori e gli arroganti che approfittando dell’ingenuità e a volte dalla dabbenaggine di certe persone, mettono a segno i loro insani propositi.
Come non ricordare le favole Il lupo e l’agnello, la cui trasposizione è viva ai nostri tempi; o La volpe e l’uva, o ancora La volpe e il corvo e via dicendo.
In tutte le favole, all’inizio o alla fine, c’è una nota morale esplicativa valevole per tutti i tempi e per tutte quelle persone che nella trama del racconto si riconoscono. L’uomo, pur conoscendo i propri limiti, ha la presunzione di mettersi alla pari di coloro che per capacità intellettiva o prestanza fisica non hanno rivali.
Sulla scorta di quei brevi, ma incisivi racconti, la saggezza popolare, ha poi elaborato i proverbi che erano, e lo sono tuttora, vere perle di buonsenso e prudenza.
Come non ricordare la “favola” della chioccia con i pulcini d’oro adottata in ogni piccolo centro rurale, o il tesoro dei briganti nascosto in un pozzo a ridosso di un castello diroccato. Per recuperare l’improbabile tesoro composto da oggetti preziosi, ai pretendenti si chiedono prove temerarie. Tuttavia, c’è sempre qualche credulone, che pensa di riuscire nell’impresa, rimediando invece beffe, delusioni e qualche possibile rovinoso incidente.
Alla discussione seguìta alla eccellente interpretazione di Ugo Verzì, e moderata dalla pittrice Ambra Miglioranzi, Presidente dell’Associazione MedmArte, sono intervenuti il prof. Giovanni Quaranta, il dott. Giovanni Russo – direttore emerito della Biblioteca Comunale di Polistena, e il rosarnese dott. Giuseppe Ingegnere.
Tutti in modo corale, hanno evidenziato la necessità di ripristinare lo studio nelle Scuole, di quelle favole antiche che costituiscono, non solo un corposo bagaglio culturale, ma un essenziale modello morale ed educativo.