La Polizia Morale dell’Iran: Un’Arma del Regime contro le Donne
Le strade dell’Iran sono di nuovo percorse dalle temute pattuglie della polizia morale, conosciuta anche come polizia religiosa. Dopo un breve periodo di “ritiro” seguito alle proteste suscitate dalla morte di Mahsa Amini, queste truppe in divisa verde sono tornate in azione con ranghi rafforzati, gettando nuovamente nel terrore le donne del Paese.
L’annuncio del ritorno in strada della polizia morale è stato dato a metà luglio dal portavoce del comando di polizia iraniano, Saeed Montazer al-Mahdi, dopo dieci mesi di “sospensione” delle attività. Le pattuglie Irshad, come sono conosciute, si sono rimobilizzate su tutto il territorio nazionale, pronte a esercitare il loro controllo sui comportamenti delle donne e a reprimere chi non si conforma alle rigide norme imposte dal regime.
Questa forza di polizia, istituita ufficialmente nel 2005 sotto l’impulso dell’allora presidente Ahmadinejad, è incaricata di garantire la “sicurezza morale” nella società, con un’attenzione particolare alle donne. Operando in pattuglie di sei persone, di cui quattro uomini e due donne, vestite con il chador che copre interamente il corpo, dalla testa ai piedi, la polizia morale impone il rispetto delle norme riguardanti l’abbigliamento e l’uso dell’hijab, il velo obbligatorio per le donne in Iran dal 1979.
Le donne che non si conformano alle regole imposte possono affrontare conseguenze legali, mentre la polizia morale ha anche accesso ai centri di detenzione e “rieducazione”, dove i detenuti vengono sottoposti a “lezioni” sull’Islam e sull’importanza dell’hijab.
Negli ultimi mesi alcuni casi eclatanti sono balzati alle cronache, come il caso di Armita Garavand, una 16enne che viaggiava senza velo sulla metro a Teheran è che è stata aggredita dalla polizia morale, trascinata via priva di sensi, e morta dopo 28 giorni di coma.
È di qualche giorno fa invece l’episodio che vede coinvolta Vida Shahvalad, una ragazza iraniana, morta in auto con il fidanzato Vincenzo Nocerino, nella notte tra venerdì 15 e sabato a causa delle esalazioni del gas di scarico della vettura in cui si erano appartati in un garage a Secondigliano.
Ma nel suo Paese d’origine, l’Iran, la notizia della sua morte è stata data descrivendola come una ragazza «di facili costumi», come ha raccontato il suo amico Ahmad Bahramzade, che studia odontoiatria a Pisa. E i familiari della vittima non riescono ad ottenere il trasferimento della salma nel paese a causa dell’ostruzionismo della polizia morale.
Questa repressione delle libertà individuali, perpetrata attraverso la coercizione e la paura, rappresenta un grave affronto ai diritti umani fondamentali e richiede una risposta decisa da parte della comunità internazionale. Mentre le donne iraniane lottano per la loro libertà e dignità, il mondo non può restare indifferente di fronte a tale oppressione.
Christian Carbone