“Quotare sul mercato azionario Poste spa non è solo un azzardo finanziario, ma un pericoloso precedente i cui effetti peserebbero tutti interi sulle spalle dei cittadini”.
Lo afferma in una dichiarazione il presidente del gruppo consiliare di Forza Italia a Palazzo Campanella, Alessandro Nicolò.
“Il volere ‘fare cassa’ a tutti i costi del Governo Renzi, incapace di esprimere credibili politiche economiche di sviluppo – sostiene Nicolò – è dettato dall’andamento crescente del debito pubblico, un’autentica fornace alimentata da provvedimenti congiunturali dentro cui finiscono bruciate ingenti risorse, mentre si evita in tutti i modi di frenare la spesa pubblica riqualificandola e tagliando i rami secchi dove necessario. Renzi, invece, scegli al via più breve: attinge a piene mani nel risparmio di milioni di italiani, alla ricerca di irraggiungibili risultati ed esponendo la finanza pubblica al rischio di un default di cui pagheranno le conseguenze con nuove tasse camuffate soprattutto i pensionati ed i cittadini a reddito fisso. Un atteggiamento ‘liberista’ – afferma ancora Alessandro Nicolò – posto in essere da un governo di centrosinistra che, alla prova dei fatti, blocca il Paese senza riuscire a dare indicazioni a chi vorrebbe investire. Peraltro, la svendita dei gioielli di famiglia da parte del Governo è ormai una prassi consolidata, come alcuni settori di Finmeccanica, ceduti ai grandi colossi manifatturieri internazionali, come Hitachi spa, motivati a comprare a prezzi vili non tanto e non solo gli stabilimenti ex Ansaldo Breda, ma soprattutto i beni intellettuali e le capacità di conoscenza e di ricerca maturati nel corso dei decenni all’interno dell’ex gruppo industriale pubblico, e questo, senza un vero dibattito pubblico in Parlamento o nelle apposite Commissioni parlamentari. E’ sconcertante, dunque – prosegue Alessandro Nicolò – che dopo Nuovo Pignone, Ansaldo Breda, solo per fare degli esempi, il Governo Renzi decida di affidare al mercato le sorti future del Paese, privandosi così di una preziosa ed ingente quantità di danaro fresco che milioni di italiani, mese dopo mese, depositano negli uffici postali. Un grave errore che procura un danno rilevante per l’economia del nostro Paese. Quotare Poste spa significa, infatti, privarsi di un’infrastruttura sociale e amministrativa che gestisce non solo il servizio postale universale, ma flussi significativi di risparmio e di polizze assicurative, i cui proventi, nel caso di una svolta ‘privatistica’, porterebbero fatalmente alla riduzione dei servizi nelle zone rurali e marginali con prevedibili, forti, aumenti dei costi dei servizi stessi. Oggi – ricorda Alessandro Nicolò – Poste spa raccoglie a vario titolo quasi 500 miliardi di euro (circa il 25% del debito pubblico) contribuendo in maniera diretta o indiretta a finanziare CDP e Tesoro. È conveniente, dunque, per lo Stato rischiare di privarsi di una fonte di raccolta e di finanziamento degli investimenti di tale entità?”
“Come faceva notare qualche giorno addietro Corrado Passera in una lettera aperta pubblica sul Corriere della Sera, se sono vere le cifre di cui si parla – valutazione del 100% di Poste tra 6 e 10 mld di euro – sarebbe un enorme regalo ai sottoscrittori delle azioni e l’operazione finirebbe per essere una netta svendita di patrimonio pubblico! Una ‘forchetta’ di valutazione così ampia nasconde aspetti non chiari. Sono cifre inadeguate – dice Alessandro Nicolò – rispetto al potenziale di Poste che, oltre ad essere il principale gruppo “logistico” italiano e la principale rete di pagamenti, contiene la più diffusa rete retail e rappresenta uno dei grandi operatori italiani nella raccolta e gestione del risparmio, oltre che una delle principali compagnie di assicurazioni. Per non parlare dell’ingentissimo patrimonio immobiliare e tecnologico accumulato. Verrebbe, amaramente, voglia di dire: buon appetito!”