Per la morte di Maria Cannatá, 52enne di Rosarno, avvenuta il 30 aprile 2014, sono stati rinviati a giudizio dal Gup di Palmi dott. Dionisio Pantano, tre infermieri del reparto psichiatria dell’ospedale di Polistena. I tre sanitari , Salvatore Accardo, Giovanna Nuto e Francesco Malvaso, sono accusati,dall’Ufficio di Procura palmese, di omicidio colposo, sequestro di persona e omissioni di atti d’ufficio. Nella vicenda è coinvolta anche la Dottoressa Luppino. Il proceso che dovrà far luce sulla terribile vicenda avrà inizio il 14 gennaio 2019 e si celebrerà innanzi al Tribunale di Palmi.
La ricotruzione dettagliata di quanto accaduto tra il 16 e 30 aprile 2014:
Il 16 aprile la signora Cannatà veniva ricoverata presso il reparto di psichiatria dell’Ospedale Santa Maria degli Ungheresi di Polistena in quanto affetta da disturbo bipolare. Il giorno dopo, il marito andando a farle visita, trovava la donna in pessime condizioni fisiche, con la testa gonfia con un vasto ematoma sullo zigomo e occhio, incapace di stare in piedi e poco lucida. La signora Cannatà riferiva pertanto al marito di essere stata picchiata dalla compagna di stanza, denunce che sarebbero poi proseguite anche nei giorni successivi, allorquando la donna disperata telefonava alla figlia chiedendo aiuto. Immediatamente questa si recava presso il reparto di psichiatria per chiedere spiegazioni ai sanitari, i quali riferivano, secondo quanto riportato in denuncia, che tali denunce fossero normali per i loro pazienti in quanto avevano come fine il ritorno a casa. Per tale ragione veniva impedito alla stessa di poter fare visita alla madre. Con il passare dei giorni la situazione precipitava sempre. Domenica 20 aprile, la figlia, dopo che finalmente riusciva a vedere la madre, scopriva di persona le terribili condizioni di salute della stessa. Ancora una volta venivano allarmati i sanitari dell’ospedale di Polistena i quali, per giustificare le ferite di Maria Cannatà, minimizzavano il tutto parlando di una piccola lite con la compagna di stanza. Tale circostanza sarebbe invece stata smentita, per come riportato in denuncia, da un’altra paziente, la quale ha confermato ai familiari di aver visto personalmente la Cannatà percossa violentemente quando gli infermieri sono entrati per salvare la povera donna dalle grinfie della più giovane e possente compagna di stanza.
Ma le sofferenze della povera donna erano ancora all’inizio, il giorno dopo, sempre la figlia, scopriva la frattura del braccio della madre, e ancora una volta chiedeva spiegazioni agli infermieri, i quali rispondondevano di non essersene accorti, e che avrebbero poi provveduto.
Il 23 aprile, un medico del reparto di Psichiatria dell’Ospedale di Polistena, considerato che la paziente aveva in atto un “deperimento organico serio”, chiedeva il trasferimento della stessa presso il reparto di medicina.
Nello stesso giorno i familiari della donna venivano contattati in quanto vi era la necessità di trasportare la stessa, con mezzo proprio a detti degli stessi, all’ospedale di Reggio Calabria, per effettuare la trasfusione cui la stessa si sottoponeva regolarmente per la microcitemia ed epatite c. Nello stesso frangente veniva comunicato il trasferimento di reparto.
Ma all’arrivo in ospedale il 24 aprile, i familiari mai avrebbero immaginato cosa i loro occhi sarebbero stati costretti a vedere. La signora Cannatà ricoverata al Pronto Soccorso, in gravissime condizioni, con il cranio quasi distrutto, in quanto, così come spiegato dai medici, “caduta“mentre si faceva la doccia. La TAC, effettuata il giorno stesso, sembrerebbe smentire però che i danni che avrebbero poi portato alla morte della stessa sarebbero dovuti a tale isolato episodio, in quanto nel referto si faceva riferimento a un peggioramento del quadro cerebrale rispetto ad un precedente esame effettuato poco prima, ed altresì di risanguinamento attivo.
Subito dopo la signora Cannatà effettuava il suo ultimo viaggio in vita in elisoccorso con direzione Ospedale di Reggio Calabria, dove veniva operata poco dopo il suo arrivo, e dove è morta il 30 aprile, lasciando tra la disperazione tutti i familiari, convinti sempre più che la responsabilità sia stata di chi non ha vigilato affinchè ciò non accadesse.