“In epoca di globalizzazione, in un momento di euforia pro Europa unita, in uno spasmodico tentati¬vo di omologazione totale, parlare di “lingua protet¬ta” potrebbe sembrare “una voce fuori dal coro”.
Ma non è così! si può fare parte di un gruppo pur senza cancellare e mortificare la propria identità.
Crediamo, anzi, che solo se la si mantiene e la si confronta correttamente con quella degli altri com¬ponenti in un dialogo aperto e schietto, il gruppo possa crescere meglio.
Sin dalla notte dei tempi mi sono battuto affinchè anche il cosidetto “dialetto” della Calabria sia da riconoscere come “lingua” e non come dialetto.
Ho cercato, nel mio microcosmo familiare, di te¬nere viva la lingua calabrese curando che le mie fi¬glie parlassero e capissero il calabrese ed utilizzas¬sero la lingua italiana come lingua di comune deno¬minatore nei contatti con soggetti di altre regioni al fine di capirsi.
In una lingua locale, che chiameremo per comodi¬tà “dialetto” pur rifiutandone la ghettizzazione co¬mune, sono racchiusi millenni di storia della regione, di eventi, di origini dei popoli, di lotte, di somatizzazioni ed addirittura, oseremmo dire, rispecchia l’orografia della zona (le popolazioni montane hanno un modo di esprimersi diverso da quelle delle zone marine).
Nel “dialetto” ci sono le radici di un popolo!
Una delle considerazioni che faccio a supporto del mio pensiero è che altri popoli italianissimi quale i piemontesi, i lombardi, i veneti, i liguri, gli emiliani ecc. usano comunemente la lingua locale anche fra persone di cultura ed in tutti i contesti anche ufficiali.
Ed allora perché i nostri figli non debbono parlarla e studiarla a scuola per poterla usare correntemente quando si è fra conterranei? perché si è inculcato da sempre il principio che “parlare in dialetto è sino¬nimo di cafonaggine e villania”? La trovo una equazione obrobriosa!
Eppure le “lingue minori” sono riconosciute e pro¬tette e viene loro riconosciuto lo status di lingua re¬gionale previsto dalla Carta Europea delle lingue re¬gionali e minoritarie approvata dal comitato dei mi¬nistri del Consiglio d’Europa nel 1992.
Da ricordare che nelle sole Calabria e Sicilia sono circa otto milioni le persone che parlano la “loro”
lingua mentre entità decisamente minori come la Sar¬degna con circa 1.500.000 persone, il Friuli con cir¬ca 600,000, l’ Emilia-Romagna ove viene insegnata nelle scuole pubbliche, o le zone grecaniche ed albanesi con una esigua quantità di persone hanno il loro giusto e doveroso riconoscimento.
Non vogliamo andare all’estero ove troviamo il basco (580.000), il catalano, il bretone, il gallese e tantissime altre realtà.
Dobbiamo riconoscere che io stesso, pur indige¬no di questa Terra, vivo in definitiva una realtà con¬flittuale, sono “i ddui cori” (sono di due cuori = sono combattuto internamente) perchè, proprio a causa di condizionamenti atavici, mi è stato inculca¬to che per essere persona civile e non “cafone” deb¬bo parlare italiano!
Sorge imperioso il sospetto che per realizzare po¬liticamente l’unità d’Italia si sia voluto “spogliare” le popolazioni dai legami storici e sdradicarli dalla pro¬pria cultura che ne avrebbe difficultato la realizza¬zione (ed i … disegni!).
Non dimentichiamo che quando fu realizzata la Unità d’Italia il nuovo “comandante”, il Re Savoia, ha “confiscato” ai Borboni del “Regno delle due Sicilie”, e, quindi, a noi tutti (!) un tesoro in moneta liquida che era maggiore di tutto l’intero restante patrimonio del nuovo Stato che nasceva e preferia¬mo … sorvolare, per non addentrarci in campi mina¬ti, sullo sfruttamento delle nostre risorse naturali, delle nostre miniere, delle nostre fonderie, dei nostri intel¬letti e delle stesse vite dei nostri figli chiamati ad im¬molarsi in nome di una “unità” che per i meridionali significa tutt’oggi solamente doveri.
Noi abbiamo alle spalle un invidiabile patrimonio culturale che poche popolazioni italiane possono vantare, abbiamo Storia che altrove è solo in mens dei.
Abbiamo dato al Mondo “cervelli” eccelsi in tutte le discipline.
Ed allora? perchè altre realtà sono degne di avere una “lingua” e la Calabria no?
Muoviamoci a livelli istituzionali perchè, si sa, se non chiedi con forza nessuno ti regala nulla e men che mai quanto ci spetta di diritto.”
Franz Rodi Morabito