Nacque sulle sponde di Villa Fiorito, una stamberga nei pressi di Buenos Aires, un campione, il quale avrebbe in maniera sempiterna vidimato il mondo del calcio intermondiale con le sue magie e sontuose prodezze. Tutto ciò e molto altro ancora, era Diego Armando Maradona. Una leggenda senza spazio né tempo, di cui è arduo disquisirne al passato. Perché anche un giovine, il più disavveduto ed imperito delle cose del calcio, saprebbe intingere la mente e l’immaginario al solo elucubrare delle sue gesta. Ci lascia il giocatore capace di mirabilie assolute con quello strumento altrettanto meraviglioso che è il pallone e l’uomo Maradona su cui molto si può eccepire. Ma tant’è. Genio e sregolatezza da sempre, nella storia e le cose magniloquenti del mondo sono conniventi e concilianti fra di esse. È venuto a mancare presso la casa di Tigre, nel pomeriggio di ieri attorno alle 16 ora italiana, a causa di un arresto cardiocircolatorio, causato da una già cagionevole condizione fisica e mentale, ulteriormente aggravatasi dopo un intervento al cervello per l’insorgenza di un edema. Nulla hanno potuto i medici, sebbene abbiano tentato per quasi due ore di rianimarlo. Se ne va con Maradona un segmento rilevantissimo della storia calciofila e del cosiddetto secolo breve, il Novecento. Memorabili i suoi esordi e i Mondiali dell’86 che fecero di Maradona un symbolum da idolatrare in tutto il mondo. Viscerale fu il suo rapporto con Napoli e il Napoli, col quale vinse quasi tutto. Ma Maradona di sovente vien rammentato anche per le pagine di cronaca e la sua vita fuori dal campo. Gli anni 90-91 sono quelli della decadenza e della tossicodipendenza, dalla quale farà fatica a liberarsi. Note sono anche le sue lotte politiche e le amicizie con Fidel Castro e Chavez. Una vita ribelle fatta di eccessi e sogni. Il sud racchiude la parabola e la ragione della sua propria esistenza con le sue battaglie a sostegno degli emarginati e dei diseredati colme anch’esse di quella rabida enfasi di cui si è fatto promotore nel corso della sua vita. È terminata la sua vita, ma rimarrà ineludibile e indefessa la sua maglia numero dieci e la consequenziale sua memoria: quella di un mythos, un racconto e una narrazione senza spazio né tempo nell’empireo ove solo i grandi possono e hanno il diritto di stare eternamente.
Francesco Grossi