Koa Bosco Paravati, è rissa, non razzismo. Esclusa l’aggravante razziale, ma resta la brutta figura di entrambe le squadre

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Calabria, calcio vietato ai neri: “il barcone doveva affondare”; “Tornate a casa”, razzisti contro la squadra degli africani di Rosarno; “Africani di merda”, giocatori migranti di Rosarno filmano cori razzisti: succede sempre; I calabresi gridano ai neri: “speriamo che affondi la nave”. Sono solo alcuni dei titoloni con i quali quotidiani nazionali hanno sentenziato sulla rissa intercorsa in quel di Paravati domenica scorsa tra i padroni di casa della Vigor e il Koa Bosco di Rosarno, squadra formata da soli immigrati. In questi giorni, lungi dal farci prendere la mano nell’esprimere opinioni avventate e titolare a tutta pagina sentenze di colpevolezza o assoluzione, abbiamo atteso l’unica pronuncia degna di nota che veramente conta poiché basata sul reale accadimento dei fatti e non sul racconto dell’una o dell’altra parte, ossia quella del Giudice Sportivo Territoriale.

A gran voce da più parti si levava un coro di quasi unanime condanna nei confronti di calciatori e tifosi del Paravati, con un’unica motivazione: Razzismo. Persino il prestigioso Times ha dedicato un articolo sulla vicenda, puntando ovviamente l’indice inquisitore verso chi ha incitato all’odio razziale ed alla violenza.

Forse chi ha giudicato senza conoscere, o meglio sentendo una sola campana, non conosce i campi dilettantistici italiani e calabresi, dove purtroppo non sono eccezioni delle risse dentro e fuori dal campo, e delle madri/mogli/sorelle insultate ci si è perso il conto. Oppure chi vede il razzismo ovunque si immagina i nostrani campi calcati da galantuomini ariani discendenti diretti del Barone De Coubertin.

E no, non è affatto così, sin dal primo momento ho avuto il sospetto ed ora ne ho la certezza che la vergognosa rissa tra la Vigor Paravati ed il Koa Bosco, non ha nulla a che vedere con il razzismo, ma è figlia solamente dell’agonismo spesso esasperato che si vive a tutti i livelli. Una cosa che non fa onore alle due squadre e che vede anche protagonisti in negativo i tifosi di casa.

Nel provvedimento del Giudice Sportivo Territoriale non vi è accenno alcuno al fattore razziale, anche se qualcuno spingeva a tutta forza affinché fosse questa la motivazione degli scontri. Chi doveva placare gli animi non ha fatto altro che esasperare la situazione, gettando benzina sul fuoco facendo leva sul vittimismo. L’integrazione, lo dice la parola stessa, la si crea facendo convivere e collaborare per lo stesso obiettivo bianchi e neri, rossi e gialli, non creando un muro contro muro. Il più grande esempio di integrazione avvenuta grazie al calcio è la Francia campione del mondo 1998 dove bianchi e neri scendevano in campo per gli stessi colori, per la stessa bandiera, una nazionale transalpina di soli “figli delle colonie” sarebbe invece stata una sorta di razzismo al contrario non proprio l’ideale da portare ad esempio.

Ed allora se non per razzismo per cosa si è scatenato il putiferio? Né più né meno che per quanto accade a tutti i livelli, in tutte le regioni, e soprattutto tra tutti i calciatori (indipendentemente dalla razza).

Per dovere di cronaca il primo episodio riportato dal provvedimento del giudice sportivo risale al “10º del II tempo, sul risultato di 1- 1, a seguito dell’assegnazione di un calcio di rigore a favore della Società Vigor Paravati, poi trasformato, il calciatore nº 3 Ouedraogo Gregoire della Società Koa Bosco da dietro sgambettava l’arbitro con l’intento di farlo cadere senza tuttavia riuscirci, venendo perciò espulso”, subito dopo “al 13º del II tempo, dopo un contatto di gioco, il calciatore nº 9 Gaye Musa del Koa Bosco colpiva, spingendolo, il calciatore avversario nº 11 Grillo Leopoldo” e dopo “l’arbitro non faceva in tempo ad espellere il calciatore del Koa Bosco responsabile dell’ azione violenta, che immediatamente si scatenava una rissa fra “tutti i calciatori di entrambe le squadre con calci e pugni”.

Dunque un caso di deplorevole –  se vogliamo folle – violenza, che ha evidentemente messo d’accordo calciatori colpevoli e rei senza distinzione di razza o provenienza geografica, e tifosi scalmanati.

 

P.S. Il mio calciatore preferito è Pogba, ma non perché di colore e devo apparire buono, semplicemente perché il più forte. Quello che amo di meno (per usare un eufemismo) tra i calciatori della mia squadra del cuore è Evra, ed anche qui parla il campo il colore della pelle non conta nulla. È calcio!

Angelo Zurzolo

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