ARTICOLO ESTRATTO DALL’OTTAVO NUMERO DI TERRA DI MEZZO, IL MENSILE DI ZMEDIA. Dicembre 2014
“Razzisti e mafiosi” possono essere davvero i due attributi che qualificano i cittadini calabresi e in particolare, quelli della Piana? Come in quasi tutte le cose, la verità sta nel mezzo. Non è tutto marcio, lercio, fuori controllo nella Piana, ma non esiste neppure una congiura perpetua attua a descrivere, senza motivo, i cittadini di questa zona come l’incarnazione del male assoluto. Il comprensorio pianigiano è una delle aree più complesse del panorama nazionale. Patisce una crisi profonda, ancora più prolungata della grande depressione moderna in atto dal 2008. Qui la crisi non ha quasi mai dato scampo e, da almeno vent’anni colpisce in maniera violenta la popolazione, scavando nelle sue classe soiali solchi e sperequazioni pseudo terzomondiste. Cosa c’entra questo con l’essere mafiosi o razzisti? C’entra eccome, l’economia è forse il primo indicatore da consultare allorquando si vogliono analizzare pronfondamente i mali di quest’area della Calabria. In quanto i meridionali e, pertanto a lungo capostipiti di una segregazione sottile tutta italica, secondo cui chi proviene dal Sud di Roma ( o sotto Eboli) è “cafone”, non si può essere razzisti a cuor leggero. Il problema non è culturale, ma economico. Il sistema di accoglienza nella Piana ha funzionato almeno dai primi anni 90, quando l’immigrazione, portava sul territorio degli ulivi molto magrebini e polacchi, spinti sulla sponda italica del Mediterraneo dalla necessità di assicurarsi un futuro migliore e offrendo una importante manodopera nelle campagne rosarnesi, e limitrofe, durante la stagione agrumicola. Il sistema con alti e bassi, ha resistito per oltre tre lustri, producendo reddito per gli immigrati , e garantendo alle aziende agricole un fondamentale supporto di forza lavoro. Sul piano sociale, poi vi sono stati passi avanti sul piano dell’integrazione, con il popolamento delle campagne e anche delle città da parte dei nuovi arrivati. Ma il meccaninsmo si è inceppato alle porte del nuovo millennio. E non per un capriccio calabrese, o per una levata ideologica partorita dalla sera alla mattina, ma per un fattore dirimente, legato all’economia. Dopo anni di crescita, e anche di un discutibilissimo, utilizzo delle risorse economiche comunitarie in agricoltura, il comparto produttivo legato agli agrumi è entrato in una profonda e irreversibile crisi. Il prezzo delle clementine è crollato, le industrie non hanno più pagato profumatamente le arance per la trasformazione e tutto è collassato. Senza più raccolta, è mancata la necessità della manodopera straniera e, con essa, il circuito economico che teneva in piedi gli agricoltori(la stragrande maggioranza dei Rosarnesi) e gli immigrati. Da qui un lento declinare, con gli immigrati sempre più poveri e costretti a lavorare alla giornata, sottopagati e a vivere in alloggi di fortuna. Gli agrumicoltori senza più un reddito stabile, spesso costretti, quando non lo facevano con dolo, a sottopagare la manodopera o doverla licenziare. Il razzismo c’è stato nella misura in cui è esistita nel 2010 una sorta di guerra tra poverim una guerriglia causata dall’estrema povertà di due frange a contatto. Ma non può essere bastata una notte di viltà, a Rosarno, per cancellare un decennio di accoglienza. Dunque la domanda principale, se la Piana è razzista, può essere evasa solo chiarendo che errori ce ne sono stati in questi ultimi anni, ma esiste un disagio profondo non incardinabile in una mera e xenofoba caccia al nero. E veniamo allo spinoso tema della mafia. La Piana è senza dubbio, la culla delle più feroci cosche di ‘ndrangheta, delle organizzazioni criminali più violente, pervicaci e ostinate. La ‘ndrangheta permea tutti gli angoli della vita sociale e produttiva, è opprimente ed esasperante. Ma se è vero, verissimo che la ‘ndrangheta c’è ed è egemone, non è possibile affermare che la Piana è mafiosa. E non può essere sufficiente la triste realtà di pezzi dell’apparato produttivo collusi, la politica spesso beccata a fare affari con le cosche, consigli comunali sciolti per mafia e alcuni rappresentanti istituzionali distratti quando non correi, per certificare che quasi 200.000 cittadini sono sic et simpliciter mafiosi. La Piana è soprattutto terra in cui associazioni come Libera coltivano prodotti “mafia free”, imprenditori che oppongono il loro “no” alle cosche, amministratori che non permettono ai mafiosi di entrare nei municipi. Ci sono ancora troppe zone d’ombra, una società incapace di reagire come in altre parti del meridione, uno scollamento ancora evidente tra operatori della giustizia, forze dell’ordine(che ogni giorno bonificano i territori dalle metastasi mafiose) e i cittadini. Esiste ancora il “bisogno” che incatena le fasce più deboli alle fila della malavita. Molto rimane da fare, non si è che nella salita iniziale del lungo percorso di lotta alla mafia nella Piana. Ma la difficoltà del cammino e le tante contraddizioni, di questa terra non possono autorizzare alcuno a dire che i cittadini sono mafiosi per ius sanguinis e ius soli. Nella Piana ci sono razzisti e mafiosi, ma c’è tutta una popolazione(ahinoi ancora troppa silenziosa) che non lo è.
Domenico Mammola