Rocco Pesce, imputato per aver inviato nel 2011 una lettera, ritenuta minacciosa, all’ex sindaco di Rosarno Elisabetta Tripodi, è stato condannato dalla Corte di Appello di Reggio Calabria alla pena di due anni e quattro mesi.
Il processo, che è ritornato in appello dopo che la Corte di Cassazione aveva annullato con rinvio la precedente pronuncia della corte reggina sembra volgere alla sua conclusione definitiva.
Pesce, infatti, era stato prima condannato in primo grado alla pena di cinque anni di reclusione, mentre successivamente era stato assolto in appello. Un’altra sezione della stessa Corte però, successivamente alle indicazioni della Cassazione ha condannato il già ergastolano a due anni e quattro mesi (tre anni e otto mesi la richiesta della Procura).
Questo il contenuto della lettera:
“… sono con la presente per esprimere tutto il mio rammarico e disappunto in relazione al fatto che il Comune di Rosarno si sia costituito parte civile nel procedimento nr. 4302/6-3565/7 a carico mio e della mia famiglia, dato che da parte nostra non vi è stata alcuna azione penalizzante a danno delle Istituzioni, dei commercianti o degli abitanti nel Comune di Rosarno da lei rappresentato”;
– “… ritengo di non aver recato alcun disturbo al quotidiano cittadino e tantomeno inquinato l’aria che respirate”;
– “… la cosa che più mi ha sconcertato, dato la stima che io e la mia famiglia abbiamo sempre manifestato nei suoi confronti, soprattutto il giorno delle elezioni amministrative dove lei è stata eletta per la sua serietà e personalità che gode di ottima etica professionale, è stata la sua esternazione, poi pubblicata sul giornale Calabria Ora, manifestante giudizi affrettati sicuramente influenzati da pregiudizi mediatici…”;
– “… lei stessa a maggior ragione data la sua carica amministrativa nel Comune, sa benissimo che la nostra famiglia è vittima di persecuzioni mediatiche per reati presunti e giudizi espletati sulla base del libero convincimento”;
– [ la cosa che più mi ha sconcertato … è stata ….] “oltre al sequestro e sgombero di beni immobili di prima residenza, sempre nel Comune di Rosarno, e non per la loro dubbia provenienza, ma in quanto considerati fabbricati non conformi alle normative urbanistiche o per mancanza di concessioni edilizie, quando lei sa benissimo sulla base delle informazioni tecniche in materia di urbanistica che, statistiche alla mano, almeno il 50% dei fabbricati attualmente esistenti post 67 nel Comune di Rosarno sono abusivi e a me non sembra che siano stati presi gli stessi provvedimenti nei loro confronti, non perché io lo desideri ma solamente per sottolineare la persecuzione a noi riservata”;
– “questo che le scrivo in modi ed enfasi del tutto confidenziale nascono per motivi che forse lei non sa in quanto molto giovane, non tanto nel merito, ma nella mia franchezza nell’esporre in modo pratico, dato che io e la mia famiglia eravamo soliti godere della reciproca compagnia con i suoi più stretti famigliari, in occasione dei consueti aperitivi in Corso Garibaldi, dove a memoria ricordo piacevoli e cordiali scambi costruttivi di opinioni, dove si argomentava questioni interessanti della nostra città… mi viene in mente un detto senza alcuna allusione, che ogni persona ha i propri scheletri nell’armadio, e converrà con me che l’estremo perbenismo è solo ipocrisia, e sono sicuro che lei è una persona molto intelligente per poter cadere in simili bassezze”;
– “vorrei che sappia che sono in galera da più di vent’anni innocentemente, ma il problema non è solo questo, nel mio stato detentivo la cosa che più mi disturba e mi fa soffrire è di quello che vengo informato, e nello specifico l’amministrazione comunale ha tra le sue priorità il benessere dei extracomunitari clandestini, anziché i problemi dei miei familiari già sofferenti e comunque dei veri cittadini di Rosarno… forse consentendomi la provocazione perché non godono di sovvenzioni della Comunità Europea a differenza dei clandestini?”.