MARZIALE CONTRO LA BANALIZZAZIONE DELLA MAFIA SUI SOCIAL E NEI GIOCHI PER BAMBINI
“La mafia è un bel gioco”. E’ ciò che si è sentito dire il genitore di un bambino di 12 anni mentre davanti alla Tv guardava il question time del Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede al Parlamento.
Il bambino ha sentito parlare di boss, di mafia, ed ha collegato tutto al gioco, lasciando di stucco il papà che ha provveduto a dargli informazioni reali sul fenomeno e che ha inteso telefonarmi per chiedermi di fare qualcosa”.
E’ quanto afferma il sociologo Antonio Marziale, Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza della Regione Calabria, che aggiunge:
“In realtà ho già fatto qualcosa, denunce e segnalazioni rimaste inascoltate nel tempo, mentre questi giochi sono transitati dal web ai social. Ed è su Facebook che il bambino, navigando con il profilo del papà, si è imbattuto in uno dei tanti giochi di mafia chiedendogli di scaricarlo”.
“Mafia City”, che annovera 1 milione e 300 mila adepti uniti per “creare il proprio clan e diventare un Padrino” con la “P” maiuscola. Oppure “Mafia City – Gloria Italiana”, una rivendicazione appoggiata da quasi 10 mila membri. Mentre “Mafia Game” vanta 1milione e 407mila giocatori.
E per non farsi mancare nulla, “Mafia Battle” giocattoli, che annovera oltre 90mila fans. A voler approfondire è una bolgia”.
“Mi chiedo – incalza il Garante – a cosa servano lezioni a scuola sulla legalità, convegni, libri, articoli, quando basta un gioco a ribaltare la percezione di un fenomeno che nemmeno per scherzo deve essere recepito come un gioco.
L’assassinio di Piersanti Mattarella, del giudice Antonino Scopelliti, le stragi di Portella della Ginestra, di Via D’Amelio, di Capaci e la morte di Cocò, il bimbo di 3 anni ucciso e bruciato in Calabria, non sono un gioco. Il peso delle pagine più cruente della Storia non può essere attutito, banalizzato e insultato per gioco”.
Il sociologo evidenzia che “senza voler scomodare la psicologia, non è difficile immaginare che tra gli adolescenti lo stimolo indotto a perseguire modelli di facile guadagno e successo crei fascinazione, soprattutto in un momento storico in cui il mondo reale si presenta minacciato da nuove e prepotenti forme di povertà.
Non è difficile immaginare che a quell’età il gioco violento finisca per inficiare i modelli educativi. Ed allora c’è da chiedere alla Commissione parlamentare antimafia, ai legislatori, ai magistrati, ai governanti se non sia il caso promuovere qualche azione che porti Facebook e gli altri social a smarcarsi da questo processo.
Molte volte sui social si viene censurati per una parolaccia, mentre la mafia che diventa gioco è tollerata e promossa”.