L’ex sindaco di Verona, Flavio Tosi, è tra gli indagati nell’inchiesta della Dda di Venezia che ha portato oggi a 26 misure cautelari, tra le quali 23 arresti, a carico di un’associazione criminale che agiva nel capoluogo scaligero, riconducibile alla cosca della ‘ndrangheta degli Arena-Nicosia di Isola Capo Rizzuto (Crotone).
I reati ipotizzati nell’inchiesta, a vario titolo, sono quelli di associazione mafiosa, truffa, riciclaggio, estorsione, traffico di droga, corruzione, turbata libertà degli incanti, trasferimento fraudolento di beni e fatture false. Tosi, si apprende dalle carte dell’indagine, è invece accusato di concorso in peculato in relazione alla distrazione da parte dell’ex presidente della municipalizzata dei rifiuti Amia, Andrea Miglioranzi (ai domiciliari), di una somma “‘non inferiore a 5.000 euro” per pagare la fattura di un’agenzia di investigazioni privata, su prestazioni in realtà mai eseguite in favore di Amia, ma nell’interesse di Tosi.
In carcere sono finite 17 persone, 6 sono state poste agli arresti domiciliari e per 3 è stato disposto l’obbligo di presentazione
alla Polizia giudiziaria. Le indagini sono state condotte tra il 2017 e il 2018 dagli investigatori della prima divisione del Servizio centrale operativo (Sco) della Polizia e dagli agenti delle Squadre mobili di Verona e Venezia. L’inchiesta è ancora in corso ed oltre alle persone colpite da misure cautelari ci sono ulteriori indagati.
Il boss che gestiva l’organizzazione è Antonio Gardino, detto Totareddu, uomo vicino alla cosca Arena-Nicosia. Sono stati sequestrati 15 milioni di euro frutto di un’attività volta al riciclaggio ed allo spaccio di stupefacenti, con società fittizie che evadevano il Fisco e creavano provviste di denaro. Non un fenomeno mafioso tradizionale, ma organizzato con una rete di contatti nel territorio – come hanno sottolineato il procuratore di Venezia Bruno Cherchi e Francesco Messina, dell’Anticrimine – che ha coinvolto la municipalizzata veronese Amia per lo smaltimento dei rifiuti, che faceva circolare denaro, corsi di formazione, con due dirigenti che sono tra gli indagati.
Il denaro gestito nel Veronese giungeva dalla Calabria e veniva riciclato per lo più attraverso imprese edili, portando ai reati di riciclaggio, estorsione ed evasione fiscale.