Alle prime ore della mattinata odierna, al termine di complesse e articolate indaginicoordinate da questa Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria con il supporto dinumerosi presìdi tecnologici, investigatori del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale dell’Arma dei Carabinieri e della Squadra Mobile della Questura di Reggio Calabria, del Gruppo Carabinieri di Locri (RC) e del Commissariato P.S. di Condofuri (RC) e Bovalino (RC), hanno eseguito un’ordinanza di applicazione di misure cautelari emessa dal G.I.P. presso il Tribunale di Reggio Calabria a carico di 46 soggetti (31 in carcere, 6 agli arresti domiciliari e 9 all’obbligo di dimora), ritenuti responsabili, a vario titolo, dei delitti di associazione mafiosa[un’organizzazione di ‘ndranghetaoperantenel versante jonico della provincia reggina, deditaprincipalmente all’assegnazione dei subappalti, forniture di mezzi e materiali al fine di assicurare un’equa ripartizione dei proventitra famiglie di ‘ndrangheta]falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici, violenza e minaccia a pubblico ufficiale, illecita concorrenza con violenza e minaccia, turbata libertà degli incanti,estorsione(tentata e consumata), rapinaimpropria,associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti (cocaina e marijuana), violazione della legge sulle armi (pistole di vario calibro e fucili), ricettazione, aggravati dal ricorso metodo mafioso,ovvero commessi al fine di agevolare la ‘ndrangheta, secondo quanto previsto dall’art. 7 della Legge n. 203/91, nonché di cessione di quantitativi variabili di sostanze stupefacenti.
Nel medesimo contesto operativo, sono state altresìeffettuate perquisizioni domiciliari nei confronti degli stessi indagati.
Nel particolare, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria ha disposto l’applicazione delle seguenti misure cautelari:
ARRESTI DOMICILIARI:
OBBLIGO DI DIMORA
Nel corso delle operazioni sono stati arrestati in flagranza di reato:
Nel procedimento sono confluiti gli esiti di due diversi, ma convergenti, segmenti di attività d’indagine svolte con riferimento alla criminalità organizzata di tipo ndranghetistico, radicata in Africo Nuovo, Motticella, Bruzzano Zeffirio, Brancaleone e zone limitrofe.
In particolare, il Gruppo dei Carabinieri di Locri ha curato le indagini scaturite dall’omicidiodel ristoratore di Brancaleone (RC) e proprietario del ristorante “Venezia” CRISEO Luciano, avvenuto a Brancaleone (RC) il 28 marzo 2009, con le quali è stato possibile accertare complessivamente una massiva infiltrazione della ‘ndrangheta nel settore degli appalti pubblici ed il potere di condizionamento mafioso degli organi istituzionali pubblici (c.d. informativa “Venezia”).
Il secondo segmento investigativo è costituito dalle attività condotte dalla Squadra Mobile di Reggio Calabria e dal Commissariato P.S. di Condofuri, da cui sono emersi reati in materia di armi e di stupefacenti da parte di un gruppo criminoso “di nuova generazione” venutosi a creare in Brancaleone, ovvero la nascente cellula denominata “CUMPS” dai suoi stessi appartenenti, lembo di territorio che è sempre stato considerato sotto il controllo del locale di Africo (c.d. informativa “Cumps”)
Fin dall’avvio delle investigazioni è emersa l’appartenenza degli indagati alla ‘ndrangheta, nelle diverse formazioni che insistono sui centri di Brancaleone, Africo e Bruzzano Zeffirio, con particolare riferimento ai nuovi assetti organizzativi e ai ruoli rivestiti dai singoli affiliati, rimodulati a seguito della “pace” venutasi ad instaurare tra le diverse cosche dopo la sanguinosa faida di Africo-Motticella, che aveva visto affermarsi i gruppi “PALAMARA-SCRIVA” e “MOLLICA-MORABITO”.
Tale tendenza alla rimodulazione degli assetti – funzionale al controllo dei pubblici appalti nell’area di influenza – trova specifica conferma nelle indagini che hanno interessato il territorio di Brancaleone, documentando come il processo di riorganizzazione abbia dato origine ad un“Banco nuovo”, con una nuova locale e la conseguente ridefinizione dei ruoli dei singoli affiliati. Già nell’operazione denominata “Crimine” si aveva modo di apprendere come: “…Le complessive acquisizioni investigative consentono di affermare che il termine “fare il banco nuovo” è sinonimo di “fare un nuovo locale”e, di conseguenza, costituire al suo interno una “nuova società” con tanto di “cariche”…”
È stata accertata la persistente intrusione della ‘ndrangheta nella gestione dei lavori e delle opere pubblici, sia per quanto concerneil movimento terra, il trasporto e la fornitura di materiali inerti, sia con riferimento alla fornitura di mezzi e di manodopera, oltre che al pesante condizionamento degli organi istituzionali pubblici.
Premesso ciò, va detto che il lavoro investigativo della Polizia di Stato e dell’Arma dei Carabinieri ha trovato un’armonica convergenza nel reperimento di elementi in ordine al gruppo facente riferimento, tra gli altri, a FALCOMATÀ Nicola e BENAVOLI Paolo
Il risultato delle due indagini consente di affermare, da una parte, l’esistenza di una predominanza delle famiglie di Africo e Bruzzano sul territorio di Brancaleone e, dall’altra, l’esigenza di creare autonomi gruppi di famiglie di Brancaleone che, sempre nell’ottica della visione unitaria della ‘ndrangheta, abbiano l’autonomia decisionale e operativa sul proprio territorio
Al “Banco nuovo”di Brancaleone sono affiliati i fratelli ALATI, Annunziato, Pietro e Giuseppe, con un ruolo di assoluto rilievo nel condizionamento delle scelte di quell’amministrazione comunale. Figura di spicco è risultata indubbiamente quella di Annunziato ALATI, quale gestore di fatto della ditta TRIPODI VENERANDA e titolare di un’impresa individuale di movimento terra, pulizia strade ed aree verdi, acquedotti e fognature, che attraverso continue e ripetute minacce ha sistematicamente sbaragliato la concorrenza di altri imprenditori del settore, monopolizzando il mercato e aggiudicandosi ogni pubblica commessa.
In tale direzione sono confluiti anche gli esiti di ulteriori attività investigative delegate da questo Ufficio Distrettuale al Nucleo Investigativo del Comando Provinciale Carabinieri di Reggio Calabria (nel contesto dell’operazione “Ecosistema”, che aveva toccato anche l’amministrazione comunale di Brancaleone) ed al Commissariato di P.S. di Bovalino; esiti che confermavano l’ingombrante presenza del gruppo Alati nel contesto criminale di Brancaleone e le pressioni sull’amministrazione comunale di quel centro
Le indagini hanno restituito, impietosamente, l’immagine di un comune, quello di Brancaleone, di fatto ostaggio dei componenti della famiglia ALATI e dei loro metodi tipicamente mafiosi: era ben nota anche agli stessi amministratori comunali la forte influenza di Pietro ALATI, fratello di Annunziato e impiegato presso l’ufficio tecnico del Comune di Brancaleone, aduso a condizionare, con metodi tipicamente mafiosi, l’affidamento dei lavori in somma urgenza.I motivi della mancata denuncia sono da ricercare nel sostegno politico che l’amministrazione comunale in carica, nel 2014, reduce dal secondo mandato consecutivo, ha sempre avuto dagli ALATI, ricompensati, soprattutto nel quinquennio precedente, con il sistematico affidamento dei lavori in somma urgenza.
Non sono peraltro mancati i tentativi di resistenza degli amministratori, come l’adozione di meccanismi di rotazione tra gli imprenditori destinatari delle commesse comunali: tali buoni propositi, però, si sono infranti contro il clima di terrore imposto dagli indagati, che, ricorrendo a metodi intimidatori tipicamente mafiosi, hanno costretto gli altri imprenditori del settore a rifiutare i lavori che gli amministratori intendevano affidare loro.
Di tutte le numerose condotte intimidatorie documentate nel corso delle investigazioni, hanno un valore particolarmente significativo gli eventi del 10 luglio 2014, allorquando i fratelli Annunziato e Giuseppe ALATI irruppero nel corso di una seduta della Giunta Comunale di Brancaleone per minacciare apertamente il sindaco e gli amministratori presenti, intimando loro di assegnare i lavori di manutenzione idrica nel territorio comunale ad Annunziato, in esclusiva, senza alcuna rotazione tra le ditte da incaricare e non dando corso alla gara ad evidenza pubblica già indetta.
Se da una parte l’interesse delle cosche per gli appalti pubblici ha condizionato la rimodulazione degli assetti territoriali, dall’altra la consapevolezza del maggior rischio derivante da scontri armati ha generato, anche nei territori di Africo Nuovo, Brancaleone e Bruzzano Zeffirio, nuovi accordi per lo sfruttamento parassitario: nel corso dell’indagine sviluppata dai Carabinieri è stata documentata, in particolare, l’esistenza di specifiche intese per la spartizione degli appalti, riservando quelli superiori alla soglia di 140/150mila euro esclusivamente alla locale di Africo, mentre quelli al di sotto di tale soglia sarebbero rimasti appannaggio delle cosche del territorio, senza alcuna ingerenza africota. Proprio in ragione di tali accordi, l’esecuzione di diverse opere pubbliche – sia per quanto concerne il movimento terra, il trasporto e fornitura di inerti, sia per la fornitura di mezzi e manodopera nell’area di riferimento – è stata portata avanti senza che la ditta appaltatrice o le ditte interessate a qualunque titolo ai lavori abbiano patito danneggiament
Non sono mancate, tuttavia, eccezioni alla regola, determinate essenzialmente dall’avidità dei singoli affiliati: in particolare, per l’appalto che prevedeva il consolidamento del cimitero di Brancaleone, ove nonostante l’importo dell’opera fosse decisamente inferiore a quello della soglia stabilita, la cosca africese riusciva ad inserirsi nella gestione indiretta dell’appalto, oppure nei piccoli lavori di manutenzione della caserma dei Carabinieri, per i quali preventivi accordi orientati dagli affiliati determinavano l’aggiudicazione a favore di una impresa compiacente, che lasciava eseguire l’opera a soggetti indicati e che canalizzava la remunerazione dell’appalto all’affiliato che si era adoperato per l’intermediazione.
Peraltro, le conversazioni captate dei militari dell’Arma confermano come la sistematica infiltrazione negli appalti prescinda dalla stazione appaltante di riferimento e dal pur pesante controllo intimidatorio degli organi amministrativi istituzionale. Ne sono riprova, in particolare, le evidenze relative ai lavori di pulizia della strada provinciale che collega la frazione di Marinella a Bruzzano Zeffirio: benché l’opera prevedesse una pulizia dei bordi della strada per tutto il tratto della provinciale, gli operai dell’impresa aggiudicataria, una volta entrati nel comune di Bruzzano per proseguire i lavori, venivano avvicinati e veniva loro intimato di non “sconfinare” e a non proseguire nella zona di Bruzzano, poiché di pertinenza di un’altra cosca.
Analoga situazione è stata riscontrata dai Carabinieri di Bianco nel 2013, con riferimento alla conduzione dei lavori di ristrutturazione della Chiesa del “Santissimo Salvatore” della frazione Motticella, circostanza in cui l’imprenditore incaricato dell’opera è stato avvicinato da affiliati alle ‘ndrine di Bruzzano che gli hanno imposto le forniture dei materiali ed estorto denaro contante
Nella parte curata dalla Polizia di Stato, le indagini hanno consentito di individuare gli appartenenti al gruppo criminoso riconducibile a FALCOMATÀ ed a BENAVOLI come soggettilegati alla figura di MOLLICA Saverio cl. 1958, soggetto quest’ultimo che,dagli atti della nota inchiesta “Il Crimine”, aveva la sua volontà di acquisire la completa egemonia dell’intero comune di Bruzzano Zeffirio. Ebbene,nelle conversazioni intercettate nel veicolo di PALAMARA Filippo, i menzionati FALCOMATÀ e BENAVOLI erano dipinti come soggetti che manifestavano insofferenza per gli africoti, manifestando l’intendimento di affermare la loro supremazia sul territorio di Brancaleone
Contemporaneamente, un altro filone della medesima indagine consentiva di dare una chiave di lettura alla recrudescenza dei fenomeni criminali che avevano caratterizzato il territorio di Brancaleone in quel periodo, collegando gli stessi alla costante presenza in quel Comune di appartenenti alla criminalità organizzata africese, che si sono lì stabiliti, inquinando il tessuto sociale della cittadina jonica, anche attraverso l’acquisizione di attività economiche sane e floride
Il riferimento è ai fratelli MORABITO Bartolo, Giuseppe e Giovanni di Rocco che contando sull’appartenenza al casato criminale dei MORABITO di Africo, il cui indiscusso capo bastone nel tempo è MORABITO Giuseppe cl. 1934, nonché sul suo vissuto criminale, avevano riunito intorno a sé un nutrito e coeso gruppo di giovani, per lo più residenti in c.da Razzà di Brancaleone o vie limitrofe alla stessa, le cui gesta e la cui struttura organizzativa appaiono aver da tempo superato la fase embrionale della costituzione di un’autonoma cosc
Ad attestare la continuità nel tempo dei rapporti tra i predetti personaggi militano i risultati dell’attività d’indagine che permetterà di accertare l’esistenza di uno strutturato sodalizio nella cui disponibilità rientrava un appartamento allocato al piano terra del complesso residenziale “San Michele”, situato sempre in Brancaleone, dove in particolare il MORABITO Bartolo era aduso a incontrare FALCOMATA’ Rocco ed i figli Alessio e Nicola, TOSCANO Vincenzo e PATEA Francesco
Deve osservarsi, inoltre, che l’impegno investigativo profuso dal personale del Commissariato P.S. di Condofuri permetteva, in data 18 febbraio 2011, di ritrovare una vera e propria “Santa Barbara”, composta da una considerevole quantità di armi clandestine, tra le quali quattro pistole semiautomatiche, di cui tre catalogate armi comuni da sparo ed una da guerra con tanto di silenziatore, un fucile a canne mozze, copioso munizionamento, una consistente quantità di polvere da sparo, nonché un efficace e tecnologico set atto alla ricarica delle munizioni.
Nella circostanza venivano tratti in arresto due componenti della famiglia BENAVOLI, il padre Giuseppe ed il figlio Fortunato, nato a Melito di Porto Salvo il 12.09.1987.Ai due BENAVOLI, da lì a qualche giorno,si aggiungerà un altro dei figli, Paolo cl. 1989, costituitosi spontaneamente, a carico del quale verranno successivamente raccolti altri elementi tali da ritenerlointraneo al gruppo di Brancaleone. Egli, infatti, era alla ricerca di una propria autonomia operativa ed identità criminale in quel di Brancaleone e trovava linfa vitale grazie ai rapporti con gli africesi e segnatamente con MORABITO Bartolo ed i suoi fratelli.
In questo caso, le indagini hanno permesso di raccogliere ulteriori elementi a carico di FALCOMATÀ Nicola ed Alessio, per avere questi ultimi, in concorso tra loro e con BENAVOLI Paolo e Giuseppe, giudicati separatamente dall’A.G. di Locri, detenuto le armi e canne sopra indicate, da considerarsi clandestine in quanto prive in tutto o in parte di matricola identificativaIl dato secondo cui i personaggi sottoposti ad indagine avessero la disponibilità di ulteriori armi è emerso chiaramente dalle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia MAVIGLIA Maurizio, allorquando egli ha dichiarato sul punto di essere a conoscenza del fatto che ulteriori armi erano rimaste nella disponibilità dei “Cumps” (derivazione del più classico termine di compari), essendo, peraltro, a lui noto che il gruppetto di Brancaleone aveva la disponibilità di armi.
Nelle sue dichiarazioni,il MAVIGLIA non si è limitato a parlare di un gruppo delinquenziale stabile ed organizzato, ma ha tirato in ballo addirittura lo stesso BENAVOLI Giuseppe, padre di Paolo, titolare a suo dire nella scala gerarchica del locale di “ndrangheta”, facente capo a Saverio MOLLICA, del ruolo di “santista”, analogamente al di lui figlio Paolo, che invece nella stessa consorteria avrebbe la dote di malandrino ed è collegato con Giovanni MORABITO, fratello di Bartolo, i quali hanno tanti interessi nel territorio di Brancaleone.
Infatti, vi sono varie conversazioni da cui si arguisce che più persone si sono rivolte a FALCOMATÀ Nicola per ottenere protezione e “giustizia” rispetto a reati patiti e asseritamente posti in essere da esponenti della comunità nomade. In detto contesto, FALCOMATÀ Nicola parlando con un nomade di nome Patrizio indirizzava al suo cospetto gravi e pesanti minacce, manifestandogli di essere determinato a compiere anche gesti di estrema violenza nei confronti degli autori del reato, come spararli e gettarli in un pozzo per farne sparire i cadaveri.
In alcuni casi impossibile dal momento che una buona parte dei cittadini di Brancaleone ha dimostrato di preferire di rivolgersi ai “Cumps”, piuttosto che denunciare i fatti.
Dall’ascolto delle conversazioni è stato possibileindividuare specificireati in materia di armi pronte all’uso e ad essere adoperate quando uno degli associati ne abbia bisogno anche temporaneo.
Sempre nella parte di indagine curata dalla Polizia di Stato è stata evidenziata anche una articolata attività nel campo degli stupefacenti, riconducibile sempre ai “Cumps”, ovvero all’articolazione dell’associazione mafiosa di ultima generazione sul territorio di Brancaleone e territori limitrofi.
Le indagini hanno permesso di mettere in risalto i ruoli di soggetti che nel comprensorio brancaleonese ponevano in essere attività di traffico di sostanze stupefacenti che, per una parte, si sono compiute in Sicilia ed a Bagnara Calabra (RC). Le attività investigative, infatti, si sono sviluppate attraverso una intensa e proficua attività tecnica nel corso della quale la Polizia di Statoha avuto modo di delineare specifici episodi da cui sono emersi riferimenti espliciti allo spaccio di stupefacenti
Gli spacciatori, in specie, concordavano appuntamenti con i loro clienti (e consumatori) adottando terminologia criptica, di dubbia valenza semantica in base a comuni canoni linguistici e logici, ma in realtà pregna di significato alla luce delle emergenze fattuali riscontrate e, soprattutto, dei recuperi di sostanza stupefacente effettuati sul campo.
Gli esiti delle attività di indagine, considerati nel loro complesso, hanno consentito a questa Direzione Distrettuale Antimafia di contestare il reato di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, con l’individuazione di specifici ruoli per ciascuno dei sodali.
È stata altresì ritenuta sussistente l’aggravante mafiosa di cui all’art. 7 della L. n. 203/91 in base al fatto che l’attività posta in essere, in prevalenza nei territori di Africo e Brancaleone, vede operativi e attivi promotori molti dei soggetti indiziati di partecipazione all’associazione mafiosa, costituendo il settore del traffico di stupefacenti uno degli ambiti privilegiati del programma criminoso della consorteria mafiosa, per come indicato dal collaboratore MAVIGLIA Maurizio e riscontrato dagli elementi di indagine raccolti nel presente procedimento.
Su conforme richiesta della D.D.A., il G.I.P.di Reggio Calabria ha disposto ancheil sequestro preventivo delle seguenti ditteutilizzate per l’esecuzione dei lavori ottenuti mediante il ricorso a condotte estorsive
L’odierna operazionerappresenta un ulteriore ed importante step nell’azione di contrasto alla ‘ndranghetaoperante nelmandamento jonico della provincia reggina.