Il 5 febbraio 2015, a Reggio Calabria ed in alcuni comuni limitrofi, i Carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria, in collaborazione con i militari dello Squadrone Cacciatori di Calabria, hanno dato esecuzione ad un’Ordinanza di Custodia Cautelare, emessa dal G.I.P. presso il Tribunale di Reggio Calabria su richiesta della locale Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria– nei confronti di 8 persone alle quali, a vario titolo, vengono contestati i reati di:
– associazione di tipo mafioso (artt. 416 bis, commi 1°, 2°, 3°, 4°, 5° e art. 71 d.lvo nr. 159/11, 99 co. 2, 3 e 4 c.p.);
– concorso in detenzione, vendita e cessione di sostanze stupefacenti, aggravati dall’aver favorito un sodalizio di tipo mafioso (artt. 81 cpv, 110, 99 c.p., artt. 73 D.P.R. 309 del 1990 e art. 7 d.l. 152/91 conv. in legge 203/1991);
– detenzione, trasporto e cessione di esplosivo bellico del tipo “C-4” aggravato dalle modalità mafiose(artt. 2 della legge 895/1967 (come sostituito dall’art. 10 l. 497/74);
– concorso in tentata estorsione aggravato dalle modalità mafiose (artt. 110, 629 co. 2, 99 c.p., 7 L. n. 203/91).
Premessa
L’odierna operazione rappresenta la naturale prosecuzione dell’operazione convenzionalmente denominata “TNT” che lo scorso aprile, portò all’arresto di 10 persone.
Quell’attività investigativa, condotta sempre dai militari del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale dei Carabinieri di Reggio Calabria, aveva preso l’avvio a seguito dell’arresto operato, in tempi diversi, di due soggetti: BATTAGLIA Domenico Demetrio e BERLINGERI Damiano Roberto.
Nello specifico, nel corso di una perquisizione domiciliare, i Carabinieri, nell’aprile del 2012, traevano in arresto BATTAGLIA, a seguito del ritrovamento all’interno della sua abitazione di 10 formelle di esplosivo del tipo tritolo per un peso complessivo di oltre 2 Kg., di 5 detonatori e di numerose munizioni di diverso tipo e calibro.
L’arresto di BATTAGLIA per detenzione di tritolo, riconosciuto dello stesso tipo di quello rinvenuto nelle stive della nave “LAURA C” affondata durante l’ultimo conflitto mondiale nei fondali antistanti Saline Joniche (RC), forniva l’input per avviare le indagini volte ad individuare la provenienza del suddetto materiale esplodente, indagini di cui in passato si era più volte occupata anche la Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, ravvisandovi il coinvolgimento della criminalità organizzata.
Il coinvolgimento della ‘ndrangheta
Già all’epoca, ed oggi confermato dai risultati dell’odierna operazione, vi era il sospetto che il tritolo fosse stato sottratto ad una potente cosca di ‘ndrangheta operante nella zona sud di Reggio Calabria. Quella prima attività investigativa aveva difatti evidenziato lo stretto collegamento di alcuni dei personaggi coinvolti nelle vicende in esame con rilevanti figure della criminalità organizzata, tra cui esponenti dell’importante cosca “Franco” egemone nell’area sud della città di Reggio Calabria ed in particolare nella località “Pellaro”.
La ricostruzione dei legami relazionali e delle dinamiche associative riscontrate nel corso delle indagini, è partito proprio dal ritrovamento del tritolo a casa del BATTAGLIA.
Le immediate investigazioni consentirono quindi da un lato, di disvelare un pericolosissimo ed agguerritissimo gruppo criminale dedito alle rapine, traffico di armi e droga e i cui principali componenti vennero tutti individuati con l’operazione “TNT” dello scorso Aprile 2014 che portò all’arresto di 10 persone. Dall’altro, nel naturale proseguo di quell’attività, comprendere con assoluta certezza che BATTAGLIA e BERLINGIERI avessero sottratto quell’esplosivo alla cosca “Franco” strettamente federata alla cosca “TEGANO” del centro città.
Una volta sottratto, il tritolo sarebbe finito nelle mani anche di PORCHI Stefano, nipote del BATTAGLIA che avrebbe dovuto nasconderlo e custodirlo.
Ben presto però la potente cosca FRANCO avrebbe individuato i due responsabili della sottrazione del tritolo che nonostante l’invito a restituire immediatamente il maltolto (invito avanzato direttamente da FRANCO Giuseppe alias “Zio Pino”, fratello del capocosca Michele) avrebbe dato incarico a due accoliti a “convincere” i due. È a questo punto che sarebbero entrati in gioco Giovanni AMBROGGIO detto “marbizza” e Filippo GIRONDA che, sulla base del racconto ricco di particolari effettuato da un altro arrestato (Giuseppe ZAMPAGLIONE) dopo aver caricato a forza i due su un fuoristrada, li avrebbero condotti all’interno di un capannone nella disponibilità dell’imprenditore pellarese GIRONDA e li avrebbero fatti oggetto di un brutale pestaggio, convincendoli così a restituire il tritolo alla cosca, restituzione che tuttavia non avveniva a causa dell’intervento dei Carabinieri che rinvenivano il tritolo e traevano in arresto il BATTAGLIA prima ed il BERLINGIERI poi.
Il ruolo delle donne in seno alla ‘ndrangheta.
Nel corso dell’attività tecnica, emergeva poi, il ruolo che FRANCO Giuseppa, figlia del capocosca Michele nonché moglie di MURINA Consolato Carmelo (altro elemento di assoluto vertice in seno alla ‘ndrangheta reggina) aveva assunto in seno alla cosca, specie in quel determinato periodo storico in cui, sia il padre che il marito si trovavano in stato di detenzione carceraria.
Era proprio la donna a gestire e dirigere i lucrosi affari illeciti della famiglia. Ed infatti, è alla donna che Massimo PICCOLO e Massimo MURINA (quest’ultimo cugino di 1° grado del marito MURINA Consolato Carmelo) consegnavano i proventi dell’attività di spaccio di stupefacenti che loro stessi, nel corso delle intercettazioni, definivano “i soldi della ‘ndrangheta”.
Così come la stessa donna, aveva offerto al MURINA Massimo anche la gestione dello spaccio dell’eroina e dello sfruttamento della prostituzione, “business” questi rifiutati dal MURINA sia perchè a suo dire l’eroina era troppo pericolosa, sia perché, a suo modo di vedere lo sfruttamento della prostituzione era un affare “infamante” e che esternava quindi la volontà di continuare a lavorare per la cosca ma solo nel campo del traffico di sostanze stupefacenti del tipo leggero “… questo è pericoloso… gli ho detto io non mi parlate affatto no di Puttane, no di… Inc… , gli ho detto io solo di erba mi dovete parlare a me…” .
In realtà, il MURINA Massimo, che si auspicava una rapida liberazione del cugino Consolato Carmelo, appariva a volte insofferente a dover prendere ordini da Pina FRANCO alla quale tuttavia riconosceva, in quel dato momento storico, un ruolo apicale e, seppur con qualche ritardo, le portava periodicamente gli incassi delle illecite attività. Così ad esempio è quando le microspie dei Carabinieri registrano l’insofferenza dell’uomo mentre unitamente a Massimo PICCOLO si accinge a consegnare una cifra che si aggira attorno ai 12.000,00 euro, provento della loro attività di spaccio “che mi caco il cazzo di andare da questa, da Pina io, per raccontargli per raccontargli, per fargli e per dirgli….quanto gli saliamo 12 (dodici)?…..qualche 13 (tredici) e passa, penso…inc… qualche altre 8000(ottomila)”.
Il volto imprenditoriale della cosca.
GIRONDA Filippo rappresenta il volto imprenditoriale della cosca FRANCO/MURINA. Pienamente inserito nelle dinamiche criminali dell’anzidetta organizzazione mafiosa, si adopera al fine di rafforzarne il prestigio fornendo alla stessa supporto economico e logistico.
Numerosi sono stati i contatti telefonici[1] nonché gli incontri tra GIRONDA e FRANCO Giuseppa detta “Pina”[2], moglie del più noto MURINA Carmelo Consolato[3].
Le intercettazioni, hanno rivelato un rapporto di subordinazione del GIRONDA nei confronti della famiglia FRANCO che, in quel determinato momento storico, atteso lo stato di detenzione del marito e del padre, è rappresentata proprio da “Pina”. Al riguardo, il tenore dei colloqui intercettati non lascia dubbi, nonostante l’evidente tentativo di FRANCO Giuseppa di criptarne il contenuto. In più occasioni, infatti, GIRONDA viene “invitato” dalla predetta a recarsi presso la propria abitazione. Analogamente, anche lo stesso FRANCO Michele, nel corso di alcuni colloqui in carcere, si preoccupava di sapere dalla figlia Pina se “il compare si è fatto vedere”, facendo chiaro riferimento al GIRONDA.
La figura di GIRONDA era anche emersa durante un’altra attività di indagine al termine della quale, in data 13 maggio 2009, i Carabinieri di Locri deferivano a codesta Direzione Distrettuale Antimafia 103 persone, ritenute a vario titolo responsabili del reato p. e p. dall’art. 416 bis c.p. per aver fatto parte, secondo i periodi e con le funzioni ed i ruoli loro specificatamente demandati, di un’associazione di tipo mafioso, finalizzata – mediante la forza di intimidazione del vincolo associativo e di omertà che ne deriva – alla commissione di una serie indeterminata di delitti (omicidio, rapine, estorsioni, riciclaggio, furti, ricettazione e falsificazione di documenti, truffa, usura, detenzione e porto illegale di armi ed altro) ed all’acquisizione in modo diretto o indiretto, presso gli enti pubblici territoriali e no, della gestione o del controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti e servizi mediante turbativa d’asta, all’illecito controllo dei relativi organi amministravi, al fine di trarne profitti o vantaggi ingiusti per se stessi o per altri componenti l’associazione criminale.
Le indagini culminate nell’operazione convenzionalmente denominata “SAGGEZZA” portò, oltre che a 39 ordinanze di custodia cautelare in carcere, anche alla emissione di numerosi avvisi di garanzia a carico di altrettanti indagati alcuni dei quali, successivamente sono stati rinviati a giudizio. Tra questi figura GIRONDA Filippo, che risulta essere stato indagato per falso ideologico e abuso d’ufficio, frode nelle pubbliche forniture con l’aggravante di avere commesso il fatto al fine di agevolare l’associazione mafiosa di riferimento.
Dalla lettura di quel provvedimento[4] si evince poi come Filippo GIRONDA avrebbe addirittura preso parte ad un summit di mafia nel corso del quale si sarebbe discusso, tra le altre cose, anche della spartizione di affari ed al quale avrebbero partecipato i vertici di diverse famiglie di ‘ndrangheta tra cui Nicola ROMANO[5], “capo locale” di Antonimina (RC). Le attività di indagine consentirono di accertare che la riunione di ‘ndrangheta in questione avrebbe avuto luogo all’interno di un’abitazione riconducibile ad alcuni zii di Filippo GIRONDA, la cui abitazione si trova all’incirca 200 mt più a valle rispetto il luogo dell’incontro.
Le risultanze sopra esposte convergono in maniera inequivocabile in un’unica direzione, ove sulla base degli elementi probatori raccolti è lecito ritenere confluiscano gli interessi economici della cosca FRANCO/MURINA. Filippo GIRONDA, le cui attività imprenditoriali e gli interessi economici si sviluppano in un territorio ed un settore fortemente tipizzato dalle infiltrazioni criminali, rappresenta il mezzo attraverso il quale l’organizzazione mafiosa riesce ad inserirsi tra i gangli dell’imprenditoria, divenendo egli stesso “gestore” delle risorse delle cosche clan.
Sequestri
Contestualmente all’esecuzione dei provvedimenti, i Carabinieri di Reggio Calabria, hanno dato esecuzione ad un decreto di sequestro preventivo in via d’urgenza emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, di alcune imprese (quote sociali, annesso patrimonio aziendale e conti correnti), numerosi immobili tra cui un abitazione in villa, beni mobili, autoveicoli e mezzi d’opera, Rapporti Bancari e Prodotti Finanziari, per un valore complessivo di circa 10 milioni di Euro, beni tutti riconducibili all’imprenditore pellarese Filippo GIRONDA, considerato il volto imprenditoriale della cosca.
Tra i beni sequestrati al GIRONDA, vi sono:
– Impresa individuale denominata “G.F. Costruzioni Lavori edili e stradali di GIRONDA Filippo di Giuseppe“ , con sede in Reggio Calabria (RC) via Cartisano nr. 53/A – Frazione Pellaro.
– Quote realtive all’impresa denominata “GICOS S.R.L“ con Sede inReggio Calabria (RC) via Longitudinale nr. 58.
– Abitazione in villa sita nel comune di Reggio Calabria composta da 12 vani.
– Abitazione sita in Reggio Calabria composta da 4,5 vani;
– Autorimessa in Reggio Calabria;
– Abitazione sita in Reggio Calabria composta da 5,5 vani;
– N° 4 Terreni siti in Reggio Calabria;
– Una dozzina tra autovetture, motocicli e mezzi d’opera.
Dati operativi
Nel corso dell’operazione sono stati impiegati una cinquantina di Carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria, supportati dai militari dello Squadrone Eliportato Cacciatori di Calabria.
Le persone tratte in arresto sono:
1. FRANCO Giuseppa, 43 anni di Pellaro;
2. FRANCO Giuseppe, detto “Zio Pino”, 63 anni di Pellaro;
3. AMBROGGIO Giovanni, detto “Marbizza”, 42 anni di Pellaro;
4. GIRONDA Filippo, 39 anni di Pellaro;
5. PORCHI Stefano, 35 anni di Pellaro;
6. MURINA Massimo, 35 anni di Reggio Calabria, in atto detenuto, già tratto in arresto nel corso dell’operazione TNT e già condannato in 1° grado alla pena di anni 8 mesi 4 di reclusione ed euro 2.000 di multa;
7. ZAMPAGLIONE Giuseppe, detto “Peppe”, di 39 anni di Montebello Jonico (RC), in atto detenuto, già tratto in arresto nel corso dell’operazione TNT e già condannato in 1° grado alla pena di anni 10 mesi 4 di reclusione ed euro 2.800 di multa;
8. BATTAGLIA Domenico Demetrio, di 51 anni di Reggio Calabria, in atto detenuto, già tratto in arresto nel corso dell’operazione TNT e già condannato in 1° grado alla pena di anni 9 mesi 4 di reclusione ed euro 1.800 di multa;
Gli esiti del processo “TNT”.
Si segnala infine che tutti gli indagati dell’operazione “TNT”, al termine del giudizio di 1° grado, nel corso del quale tutti hanno optato per il rito abbreviato, hanno riportato pesantissime condanne e, nello specifico:
1. BATTAGLIA Domenico Demetrio: anni 9 di reclusione ed euro 1.800 di multa;
2. CILIONE Giovanni: anni 8 mesi 6 di reclusione ed euro 1.800 di multa;
3. MORO Teodoro: anni 11 di reclusione ed euro 3.000 di multa;
4. MURINA Massimo: anni 8 mesi 4 di reclusione ed euro 2.000 di multa;
5. PICCOLO Massimo anni 8 di reclusione ed euro 1.600 di multa;
6. SURACE Osvaldo: anni 1 mesi 4 di reclusione ed euro 400 di multa;
7. ZAMPAGLIONE Giuseppe: anni 10 mesi 4 di reclusione ed euro 2.800 di multa;
8. CIRILLO Ivano: anni 1 mesi 4 di reclusione ed euro 400 di multa;
9. BERLINGIERI Damiano Roberto: anni 2 di reclusione;
FORTUGNO Vincenzo: anni 2 mesi 4 di reclusione ed euro 300 di
[1] Procedimento Penale n. 6637/10
[2] Nata a Taurianova (RC) il 29.04.1971
[3] Nato a Reggio Calabria il 23.05.1964
[4] Provv. cautelare n. 4818/06 R.G.N.R. D.D.A., n. 4055/07 R.G.I.P. D.D.A. e n. 29/12 ROCC,
[5] Nato ad Antonimina il 21.08.1948