Per i giudici le 75 coltellate di Filippo Turetta a Giulia Cecchettin non sono segno di crudeltà

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Per i giudici le 75 coltellate di Filippo Turetta a Giulia Cecchettin non sono segno di crudeltà

Non sopportava l’autonomia di Giulia Cecchettin e l’ha colpita con 75 coltellate, in un crescendo di violenza che è durato “complessivamente 20 minuti” nei quali la ragazza ha avuto tutto il tempo di capire che stava morendo.

Però quella di Filippo Turetta non si può definire crudeltà, ossia “un modo per crudelmente infierire o per fare scempio della vittima”, ma “conseguenza della inesperienza e della inabilità”.

Le 143 pagine di motivazioni con cui i giudici della Corte d’Assise di Venezia hanno condannato all’ergastolo Filippo Turetta – reo confesso dell’omicidio della ex fidanzata poi gettata in un dirupo in Friuli, l’11 novembre 2023 – hanno scatenato l’indignazione, bipartisan, della politica. Dalla Lega a Forza Italia fino a Avs e M5s.

“Nel corso delle numerose audizioni è emerso che l’overkilling, ovvero il numero spropositato di colpi, è una modalità esecutiva tipica del femminicidio” che, dunque, “impone un ripensamento dell’attuale modalità di giudizio”.

“Per noi non finisce qui, anzi la battaglia inizia qua, nel senso che iniziano tutte una serie di considerazioni che non si limitano solo a questo processo, anche nel rispetto delle altre vittime” sono le parole del legale della famiglia Cecchettin.

Nell’escludere la crudeltà i giudici hanno seguito un orientamento giurisprudenziale consolidato, in particolare riconducibile a una sentenza del 2015 della Corte di Cassazione.

L’aggravante sussiste quando, indipendentemente dal numero dei colpi, si manifesta la volontà di infliggere alla vittima sofferenze aggiuntive rispetto a quelle relative all’azione omicidiaria.
“La mera reiterazione dei colpi inferti – è la lettura della cassazione – non può determinare la sussistenza dell’aggravante…se tale azione non eccede i limiti connaturali rispetto all’evento preso di mira e non trasmoda in una manifestazione di efferatezza, fine a sé stessa”.

Dei tre capi di accusa – omicidio aggravato dalla premeditazione, la crudeltà e lo stalking – solo il primo è stato accolto dai giudici, che hanno però respinto le attenuanti aprendo inevitabilmente alla pena dell’ergastolo.

Questo per “l’efferatezza dell’azione, della risolutezza del gesto compiuto e degli abietti motivi di arcaica sopraffazione che tale gesto hanno generato: motivi vili e spregevoli, dettati da intolleranza per la libertà di autodeterminazione della giovane donna, di cui l’imputato non accettava l’autonomia anche delle più banali scelte di vita”.

L’esclusione della crudeltà è stato comunque uno dei punti più controversi della sentenza letta dal presidente Stefano Manduzio. Le motivazioni redatte dal giudice a latere Francesca Zancan, sottolineano che la dinamica dell’omicidio di Giulia non permette di “desumere con certezza” che Turetta volesse “infliggere alla vittima sofferenze gratuite e aggiuntive”.

Il 22enne avrebbe continuato a colpire fino a quando si è reso conto che Giulia “non c’era più”, lo ha detto anche in aula. Ha dichiarato di essersi fermato “quando si è reso conto che aveva colpito l’occhio: ‘mi ha fatto troppa impressione’, ha dichiarato”. Turetta ha comunque mantenuto “lucidità e razionalità” dopo aver ucciso Giulia, con la “chiara e innegabile volontà di nascondere il corpo in modo, quantomeno, da ritardarne il ritrovamento”.

Poi c’è “la scelta del luogo in cui abbandonare il cadavere” e “le modalità in cui il corpo è stato lasciato”. Da qui la premeditazione.

E c’è l’atteggiamento dell’omicida che “ha confessato in parte e ha anche mentito” ammettendolo in aula, e ancora dalle intercettazioni in carcere dei colloqui con i genitori da cui “si evince chiaramente come egli fosse a conoscenza del fatto che vi era molto altro a suo carico” ma non lo ha riferito.

Anche lo stalking viene respinto dalla Corte perché “l’aggravante contestata è espressamente circoscritta al periodo ‘in prossimità e a seguito del termine della relazione intrattenuta’”. Ma pesa anche il fatto che il padre della vittima, Gino Cecchettin, dopo la scomparsa della figlia e prima ancora di avere elementi sulla sua sorte, aveva riferito di “non aver percepito alcun disagio in Giulia”.

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