La Procura generale di Reggio Calabria ha chiesto la condanna a 10 anni e 5 mesi di carcere per Mimmo Lucano, l’ex sindaco di Riace e principale imputato del processo “Xenia” nato da un’inchiesta della guardia di finanza sulla gestione dei progetti di accoglienza dei migranti nel piccolo paese della Locride.
Davanti alla Corte d’Appello di Reggio, presieduta da Giancarlo Bianchi, si è conclusa la requisitoria dei sostituti procuratori generali Adriana Fimiani e Antonio Giuttari che hanno chiesto per Lucano una pena inferiore rispetto a quella inflitta dal Tribunale di Locri che lo aveva condannato a 13 anni e 2 mesi di reclusione.
In sostanza la Procura generale ha chiesto l’assoluzione per un capo di imputazione e la prescrizione per due capi. I reati contestati all’ex sindaco di Riace sono associazione per delinquere, truffa, peculato, falso e abuso d’ufficio. Il processo è nato da un’inchiesta della guardia di finanza sul “modello Riace”.
A Lucano, che nel 2018 trascorse un breve periodo agli arresti domiciliari e circa un anno al divieto di dimora nel Comune di Riace, vengono contestati i reati di associazione per delinquere, truffa, peculato, falso e abusi d’ufficio. Dopo aver ricostruito gli elementi di prova e dopo aver ritenuto inutilizzabili alcune intercettazioni telefoniche, i due sostituti pg hanno chiesto la condanna anche per altri 15 imputati. Per due è stata chiesta l’assoluzione.
La Corte d’Appello nella precedente udienza aveva ammesso l’acquisizione agli atti del processo, con il parere favorevole della pubblica accusa, della perizia redatta dal consulente della difesa Antonio Milicia che, su incarico dei legali di Lucano, ha trascritto il contenuto di 5 intercettazioni.
Lucano al momento delle richieste della pubblica accusa non era presente in aula.