Continuano incontri e riunioni per discutere la drammatica situazione sul futuro del Porto di Gioia Tauro. Tavoli inutili considerando ciò che ne verrà fuori.
La scelta di licenziare gli esuberi per immetterli in un’apposita agenzia di ricollocamento in attesa della creazione di nuovi posti di lavoro presso nuove infrastrutture che dovranno sorgere intorno al Porto di Gioia Tauro (infrastrutture che già da molto tempo dovevano esistere e che non si sa quando vedranno luce) appare insensata. Anche perché sappiamo le lungaggini burocratiche che si celano dietro queste iniziative, specie quando si tratta del Porto di Gioia Tauro, sul quale le istituzioni hanno fatto sempre chiacchiere e promesse inattese. Ciò, tra l’altro, in virtù che l’agenzia in questione altro non è che un ammortizzatore che decurta di circa la metà lo stipendio del lavoratore per poi abbandonarlo alla disoccupazione una volta esauriti i fondi molto prima che nuove speranze occupazionali si aprano intorno al Porto.
Appare invece più ovvio, in attesa di questi nuovi posti di lavoro (volendo essere fiduciosi), tenere tutto il personale odierno con un’equa riduzione salariale e una corrispondente riduzione dell’orario di lavoro, cosicché l’azienda risparmierebbe quanto auspicato dai propri bilanci senza buttare per la strada nessuno.
Ma a preoccupare è proprio la mancanza di questa volontà che, non si capisce il motivo, coinvolge la maggior parte dei porti italiani, centri strategici del commercio marittimo, indispensabile per l’economia mondiale.
Ma a preoccupare è anche l’atteggiamento delle istituzioni, a partire dalla Regione Calabria e dal Governo, i quali, finora, non sembrano essersi spesi fattivamente per la salvaguardia dei posti di lavoro, autoassolvedosi del tutto senza nemmeno chiedersi se chi usufruisce della concessione di un bene pubblico abbia l’obbligo, morale, o anche legale, di creare benessere e garantire un minimo occupazionale.
Per questi motivi sosteniamo la lotta dei lavoratori contro la forza della classe padronale invitandoli ad essere compatti perché ognuno è a rischio (si prevede circa un licenziamento ogni tre lavoratori). Vi è il rischio di fare lo stesso errore compiuto con la Fiat la quale, dopo aver ottenuto diversi finanziamenti pubblici, ha smantellamento quasi tutti gli impianti produttivi e licenziato il personale per poi andare a sfruttare altri operai altrove. Questi sono casi in cui lo Stato dovrebbe requisire la proprietà degli impianti per affidarle a cooperative di lavoratori.
In questa battaglia non si decide solo il destino di centinaia di lavoratori, ma è anche in gioco la credibilità dello Stato, credibilità già abbastanza flebile (soprattutto dopo lo scandalo degli esodati) grazie alle politiche neoliberiste che stanno cancellando tutti i diritti dei lavoratori e la sicurezza di un posto di lavoro certo è non precario. Si consideri, inoltre, il tessuto sociale calabrese, la ‘ndrangheta non si sconfigge con belle parole e passerelle, ma con l’efficienza di uno Stato che sia presente nella vita quotidiana dei cittadini e dei quali dimostri di sapersi prendere cura con interventi mirati alla risoluzione dei problemi pubblici. Così come l’attuale crisi economica si sconfigge con l’occupazione e non con i licenziamenti.
Gaetano Errigo
Segretario di circolo