Nelle indagini effettuate dalla Polizia di Stato di Milano che ha portato all’arresto di33 persone per il reato di associazione mafiosa, riciclaggio, usura, estorsione, corruzione, esercizio abusivo del credito e intestazione fittizia di beni e società; reati in gran parte aggravati dall’utilizzo del metodo intimidatorio tipicamente mafioso e dalla finalità d’agevolare l’attività dell’associazione mafiosa, è emerso come il sodalizio criminale, assumendo anche la reggenza della “locale” di ‘ndrangheta di Desio (espressione della famiglia calabrese in Brianza) ha approntato e gestito a Seveso (MB) una vera e propria “banca clandestina” attraverso cui sono stati commessi i reati, anche grazie a un’ampia rete di società di copertura e alla collusione di dipendenti postali e bancari e di imprenditori.
In particolare, secondo quanto scritto nell’ordinanza di custodia cautelare dal parte del G.i.p., il capo dell’organizzazione sarebbe Giuseppe Pensabene, definito da uno degli arrestati, Maurizio Morabito, come “una sorta di “Banca di Italia”. Morabito intercettato dice: «ah, già stasera la devi vedere? Mannaggia … ci vuole la Banca di Italia per davvero con te, e abbiamo bisogno della Banca di Italia? Tutti i giorni abbiamo 50, 60, 30». Si riferisce, chiarisce il gip, «a somme di denaro contante variabili dai 30 ai 60 mila euro».
Per gli inquirenti, Pensabene era il dominus: impartiva ordini, dirigeva la complessa struttura assegnando i compiti e dando disposizioni ai diversi associati. Sceglieva come investire il flusso di denaro contante che i suoi soldati estorcevano in Calabria, e in Lombardia. Era sempre lui, secondo i magistrati, che fissava i tassi di interesse (usurari) dei prestiti e il costo del denaro contante venduto. Era sempre lui che si occupava della gestione dell’ampia rete di società di copertura, alcune usate per creare “schermi” per i capitali illeciti. Controllava la gestione delle attività economiche acquisite ; “eseguiva, infine, – scrive il gip – personalmente o mandando i suoi collaboratori le estorsioni, alcune delle quali finalizzate a recuperare i crediti, altre a tutelare il prestigio e gli interessi dell’associazione mafiosa“. Ma Pensabene si occupava anche di mantenere i rapporti diplomatici con altri gruppi criminali lombardi, come quello dei fratelli Martino, Giulio e Domenico, referenti della cosca Liberi, o quello su un gruppo legato alla famiglia Fidanzati, e con Antonio Robertone alias “Ciccio Panza”, esponente di spicco della cosca Mancuso.
Lo stesso Giuseppe Pensabene, parlando col suo collaboratore Tino Scardina il 7 aprile 2010 tirerebbe in ballo anche l’ex assessore regionale Massimo Ponzoni. I due discutono del ruolo di un altro degli arrestati oggi, Domenico Zema, già assessore all’Urbanistica in quota a Forza Italia nel comune di Cesano Maderno e poi imprenditore edile.
Parlando di Zema, «una persona importante qua in zona a livello politico», poi “bruciato” da un’inchiesta giudiziaria, Pensabene dice: «Insomma l’hanno bruciato…perchè tu dalla politica te ne devi uscire altrimenti…poi ha portato una persona lui al vertice…che oggi è al vertice qua che si chiama…questo qua è il braccio destro di Formigoni…come c…si chiama che adesso mi sono dimenticato…Ponzoni, Ponzoni…lo ha appoggiato forte Zema tutte le amicizie sue, i voti suoi, glieli ha dati tutti questo Ponzoni. Poi hanno litigato e…». Ponzoni è stato poi arrestato nel gennaio del 2012 nell’ambito del crac della società Pellicano con l’accusa di bancarotta.
Non solo politica e imprenditoria, anche il mondo del calcio è stato coinvolto nell’indagine, ci sono infatti anche il vice presidente esecutivo del Genoa Antonio Rosati, e il dg della Spal Giambortolo Pozzi tra gli imprenditori finiti nella morsa dell’organizzazione della ‘ndrangheta smantellata. Lo hanno precisato in conferenza stampa in Questura a Milano. Fanno parte di una lunga lista di imprenditori diventati vittime.