Tendopoli, cronaca di una morte annunciata

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Alzi la mano chi non sapeva che qualcosa di brutto sarebbe successo nella tendopoli di San Ferdinando. Nessuno, appunto.

Le criticità di quella struttura, dimenticata da dio e dalle istituzioni, erano ampiamente conosciute e tollerate e si attendeva, come al solito, la tragedia per rendere evidente quel che era noto ai più.

Sia chiaro che qui non parleremo dei fatti oggetto di indagini in queste ore, perché è chiaro che sulle dinamiche della morte dell’uomo e del ferimento del carabiniere c’è un fascicolo aperto e solo la conclusione di quest’attività investigativa ci potrà restituire la verità, almeno quella giudiziaria, dei fatti.

Una verità incontrovertibile è che il campo migranti di San Ferdinando non funzionava, e non poteva funzionare. Centinaia di migranti stipati in un tendopoli, in condizioni di degrado e senza un lavoro certo, lontani da sistemi collaudati di inclusione e accoglienza, non sono sostenibili per una delle aree più povere de’Italia. La Piana di Gioia Tauro, ed in particolare il triangolo Rosarno-Rizziconi-San Ferdinando, ha subito i danni e le conseguenze di un sistema di gestione dei flussi migratori assolutamente cervellotico e inefficiente. Sulle spalle dei cittadini, degli encomiabili volontari e di alcune associazioni umanitarie, è gravato tutto il peso delle defaillances delle istituzioni. Se i vari ministri, sottosegretari, politici di caratura regionale, nazionale e locale, avessero agito in proporzione a quanto hanno passeggiato con finta costernazione tra la bidonville della tendopoli, a quest’ora il problema sarebbe stato risolto. Su Rosarno s’è abbattuta la grande ondata degli egoismo politici, anche di istituzioni vicine alla città medmea che si sono girate dall’altra parte quando si è discusso di dividere il numero dei migranti nei diversi centri della Piana.

In questa vicenda ci sono tante, troppe vittime, fisiche e morali. C’è un migrante morto – ed è questa la tragedia più grande – c’è un rappresentante delle forze dell’ordine ferito nel pieno della sua attività, c’è tutta una comunità che rischia, per la seconda volta nel giro di un lustro, di essere etichettata come la peggior espressione della xenofobia, come la patria di un gretto e orribile apartheid.

Gli africani che sfuggono alla miseria e vogliono lavorare onestamente non meritano la vita di stenti e di tragedia in un inferno come la tendopoli, le forze dell’ordine non meritano di mettere a repentaglio la loro incolumità per gestire bombe sociali sganciate da enti sovra comunali inerti, distratti o incapaci. Ma soprattutto la popolazione di Rosarno non merita di vivere con l’ansia che una rivolta sociale si riaffacci alle porte della città, così come non merita di essere bollata come una comunità razzista. Dopo anni di accoglienza, di volontariato dignitoso e silenzioso, il sistema sta scricchiolando sotto il peso di una crisi economica che sta mettendo in ginocchio i rosarnesi e gli africani, senza distinzione di sesso o razza.

Si può imparare qualcosa dalle tragedia? Sì, è sempre possibile. L’unica amara lezione da comprendere, una volta per tutte, è che questo sistema è alla canna del gas: non è più possibile sostenere un’accoglienza sgangherata come quella proposta nel campo migranti. Gli africani non meritano il degrado, la fame e le pallottole, ma i cittadini di Rosarno non meritano la paura, l’abbandono e il ticchettio di una bomba sociale che ogni giorno va verso la detonazione.

Il messaggio, però, deve essere compreso dalle istituzioni, in particolare dal governo regionale e da quello nazionale. Per anni, e sotto bandiere politiche di colore diverso, Rosarno è stata passerella elettorale comoda. Mentre in molti hanno preso i voti, ai rosarnesi è rimasto un ghetto alle porte e vuote promesse. Agli africani, ancor peggio, la fame e la rabbia.

Possibile che si debba sempre attendere un morto, una rivolta o una tragedia, per ricordarsi che Rosarno non può essere lasciata sola?

Sarà questa la volta buona che il sistema istituzionale metterà mano alla questione e azzererà la vergogna che si appalesa ogni giorno al campo migranti?

In attesa di conoscere la risposta possiamo ascoltare il rumore degli sciacalli, dei condor – in doppiopetto o con il badge parlamentare – che sono pronti a banchettare sui cadaveri degli africani e sui corpi, e le coscienze, della comunità rosarnese. Solo per raccattare qualche consenso in più o qualche pagina di giornale.

 

Domenico Mammola

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